29 settembre 2023 09:50

Ci saranno solo festeggiamenti in forma ridotta per i 63 anni d’indipendenza della Nigeria, il prossimo 1 ottobre. Non si può dire infatti che il paese stia attraversando un momento facile da quando, a fine maggio, si è insediato il nuovo presidente, Bola Tinubu. In questi giorni i due maggiori sindacati del paese (il Nigeria labour congress e la Trade union Nigeria) minacciano di scioperare a oltranza a partire dal 3 ottobre, perché finora il governo non ha provveduto a finanziare degli ammortizzatori sociali che limitino i danni causati dalla prima importante decisione di Tinubu, l’abolizione dei sussidi pubblici sui carburanti. I due sindacati rappresentano molte categorie di lavoratori, che vanno dagli infermieri ai bancari e agli insegnanti. Secondo alcuni giornali nigeriani, la mobilitazione potrebbe essere scongiurata solo se nel suo discorso del 1 ottobre il presidente annuncerà delle misure convincenti per venire incontro alle difficoltà dei cittadini.

La cancellazione dei sussidi ai carburanti era stata annunciata dal presidente proprio il giorno dell’insediamento, il 29 maggio, come gesto di rottura con il passato. La Nigeria è un importante produttore di petrolio, ma non ha la capacità di trasformare il greggio che estrae. Le tre raffinerie statali sono praticamente inattive e il paese deve importare benzina, gasolio e cherosene, con costi necessariamente più elevati. Si calcola che nel 2022 il governo ha speso 23 miliardi di dollari per le importazioni di carburante, più di quanto ha stanziato per l’istruzione e la sanità. Altri presidenti nigeriani avevano cercato di eliminare queste sovvenzioni e Tinubu ha voluto mostrare di poter andare fino in fondo e mettere in atto le riforme necessarie per rilanciare l’economia.

La fine dei sussidi farà sì risparmiare prezioso denaro pubblico, da investire in grandi progetti, anche infrastrutturali, ma per il momento ha messo in crisi i comuni cittadini, che hanno dovuto fare i conti con prezzi della benzina e degli altri carburanti che sono raddoppiati da un giorno all’altro e che da giugno a oggi sono triplicati. C’è chi scherzava dicendo che in questo modo si era risolto un annoso problema di Lagos, la metropoli di 16 milioni di abitanti che è il cuore pulsante dell’economia nigeriana, cioè gli epocali ingorghi di traffico, perché le persone non avevano più i soldi per pagare i mezzi di trasporto per andare al lavoro, e così rinunciavano o restavano a dormire in ufficio.

Insieme al costo degli spostamenti, è salito anche quello dei generi alimentari, aggravando l’inflazione (che ad agosto ha raggiunto il 25,8 per cento) e di conseguenza il rischio che una parte ancora più grande della popolazione finisca in povertà. Nel 2022 il 63 per cento dei nigeriani, più di 133 milioni di persone, non riusciva ad arrivare a fine giornata.

Altre decisioni di politica monetaria hanno fatto perdere valore alla naira, la valuta locale, che ha sfondato la soglia psicologica delle mille naira per un dollaro negli scambi sul mercato nero (su quello ufficiale il tasso di cambio è di 780 naira per un dollaro). A settembre per due volte la rete elettrica nazionale è collassata, in un paese dove già il 50 per cento degli abitanti non può contare su una fornitura elettrica affidabile. I generatori di elettricità sono una costante nelle case dei nigeriani.

I primi cento giorni di governo di Tinubu, raggiunti a inizio settembre, sono stati l’occasione per fare un bilancio, che al momento non è roseo. Molti riconoscono che le sue decisioni sono state giuste, sulla carta. Tuttavia, il governo è apparso impreparato di fronte all’impennata dei prezzi e i metodi adottati sono stati giudicati eccessivamente brutali. La richiesta dei cittadini è che ora il governo pensi di più alle loro sofferenze, e non solo a rendere la Nigeria più attraente per gli investitori stranieri.

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