30 gennaio 2015 15:00

La Sony Classical ha appena pubblicato un cofanetto di 18 cd con tutte le registrazioni di Svjatoslav Richter uscite per la Columbia e la Rca. Detta così non sembra una notizia particolarmente importante: Richter è un pianista che ha fatto storia; se fosse ancora vivo il 20 marzo prossimo compirebbe cent’anni; le major del disco stanno dando fondo a tutti i loro archivi di musica classica sotto forma di scatoloni di cd a prezzi modesti. Un pacchetto con i suoi dischi vecchi sembra una cosa normale. Invece stavolta non lo è per niente.

Quel che fa venire le vertigini a chi segue con attenzione la monumentale carriera del maestro di Žytomyr su disco è che in questa Complete Rca and Columbia album collection ci sono tutti gli album dei concerti alla Carnegie Hall di New York dell’ottobre 1960: sono dischi che nella migliore delle ipotesi erano difficili da trovare e nella peggiore rarissimi.

Svjatoslav Richter a Chicago, ottobre 1960. (Underwood & Underwood/Corbis)

Svjatoslav Richter, oltre a essere un artista fenomenale, era una persona completamente fuori dagli schemi, impossibile da ingabbiare nella routine del concertista. Così le autorità sovietiche, che all’epoca sceglievano con cura chi mandare oltre cortina perché facesse fare bella figura all’Urss, tra i pianisti preferivano usare come portabandiera Emil Gilels: un altro titano della tastiera, ma più affidabile.

Fino al 1960 Richter si era potuto spingere solo in paesi satellite di Mosca. Questo profilo inafferrabile lo aveva reso una figura leggendaria per gli appassionati, resa ancora più mitica dai pochi, stupefacenti dischi che riuscivano a circolare più o meno liberamente al di qua del muro.

Poi qualcuno decise che l’America doveva conoscere Richter. Così nell’ottobre del 1960 il maestro sbarcò negli Stati Uniti e gli vennero allestiti due mesi di tournée con ben cinque recital a New York, alla Carnegie Hall.

Il box Sony ha con sé un bellissimo saggio di Jed Distler, che si era già occupato dei concerti newyorchesi di Richter su International Classical Record Collector, un giornale nel frattempo scomparso nelle nebbie della crisi generale del disco, dell’editoria e del mondo. I dettagli su come nacquero questi concerti, su come vennero gestiti e su come e chi decise che era il caso di pubblicarli li trovate tutti lì: ne raccomando la lettura a prescindere dalla musica perché sembra uscito da un James Bond d’annata, in piena guerra fredda, nel bel mezzo di politiche di distensione sovietiche non troppo distese.

Basti dire che Mosca vietò alla Columbia di registrare le serate con le loro apparecchiature, che già allora erano d’assoluta avanguardia, e per i dischi ci si dovette accontentare del sistema interno della Carnegie Hall, che di solito serviva solo per l’uso privato degli artisti. Da questo deriva la qualità mediocre delle registrazioni, che sono funestate, oltre che dai soliti colpi di tosse della splendida ma catarrosissima sala, dai periodici, penetranti rombi del riscaldamento. Se vi piace questo genere di giochino, qua e là – per esempio durante la Novelletta n. 8 di Schumann del 28 ottobre – potete anche sentire anche un breve, misterioso frastuono stradale. Probabilmente sulla 57ª strada era una giornataccia.

Ma al di là della qualità audio, sono cinque concerti impressionanti. Richter sentiva la pressione dell’evento, e questo si manifesta anche nell’interpretazione. Alla fine era insoddisfattissimo del risultato e chiese che non venisse immortalato su disco (non era soddisfatto del viaggio in generale: disse che degli Stati Uniti gli erano piaciuti solo i musei, le orchestre e i cocktail). Alla Columbia non gli diedero troppo retta, ma evidentemente non erano molto convinti neanche loro: pubblicarono rapidamente un album del primo concerto, poi altri due, poi ancora uno e a quel punto li tolsero tutti dal mercato.

Nel 1969 arrivarono i soliti giapponesi, che sembrano provarci gusto a far soffrire i collezionisti, e sfornarono una nuova serie che ai quattro album Columbia ne aggiunse un paio con i pezzi che erano rimasti fuori dalla prima ondata. Anche questi lp ebbero vita brevissima: dite a un collezionista che avete tutta la serie di Richter SONC (la sigla del catalogo della Columbia/Sony nipponica di allora) e gli sanguinerà il cuore quasi quanto a voi sanguinò il portafoglio se ce li avete sul serio.

Il nuovo scatolone di cd fa tombola e presenta tutti i cinque concerti rimettendoli bene in ordine.

Il guaio dei cofanetti enormi di ristampe è che si tende ad ascoltarli un po’ distrattamente come se fossero un’autoradio, che siano pieni di Schubert o di classici della Motown. Questo merita ben altra attenzione: organizzatevi e dedicate una serata a ciascuno dei recital, seduti sul divano davanti allo stereo buono di casa e ordinando a famiglia e coinquilini di lasciarvi da soli con Richter per un paio d’ore.

Avrete a disposizione, per esempio, un programma tutto Beethoven di drammaticità radicale, concluso da un’Appassionata il cui finale, sempre un momento violentissimo nell’interpretazione richteriana, è costantemente sul punto di crollare sotto la combinazione di velocità e suono enorme; oppure un’iridescente Isle joyeuse di Debussy che vi renderà quasi impossibile ascoltarla dalle dita di qualcun altro, chiunque sia; o ancora una Fantasia di Schumann che forza i limiti della tensione possibile della forma con un assoluto sprezzo del pericolo.

Nel cofanetto ci sono moltissime altre cose folgoranti, tra cui tutti gli altri dischi registrati nei due mesi americani di Richter e che più di cinquant’anni dopo sono ancora dei punti di riferimento.

Svjatoslav Richter a Mosca, 1958

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“L’aspetto percussivo, motorio dello strumento è in secondo piano”, scrisse il critico Harris Goldsmith sul recital tutto Prokof’ev. “La cura fondamentale è per le proporzioni perfette, la sensibilità al colore e il lirismo impressionistico della scrittura”. È una frase che si potrebbe dire per tutta la musica che c’è qui dentro.

L’edizione in inglese del documentario del regista Bruno Monsaingeon su Richter (non l’avete visto? Male! Rimediate subito, per favore) s’intitola The enigma. In questo cofanetto ci sono le prove di quanto questo nome sia azzeccato. Tutti i 18 cd della Complete Rca and Columbia album collection lasciano con la sensazione di non trovarsi di fronte a un disco o un concerto “normale”, ma a un’esperienza umana nuova. Con Richter capita spesso. Oltre a questo, nei live alla Carnegie Hall c’è l’emozione di ascoltare un momento storico. A tratti perfettibile, ovviamente. Ma sempre irripetibile.

Dopo questa full immersion richteriana ne vorrete delle altre. Il mercato in affanno sembra essere dalla vostra parte, però attenzione.

Per esempio la Universal, tutta contenta per la montagna di materiale delle sue tre etichette storiche, con Richter ha esagerato: prima ha pubblicato un cofanetto con tutte le sue registrazioni Deutsche Grammophon (9 cd), poi uno con tutte le sue registrazioni soliste Deutsche Grammophon, Decca e Philips (33 cd) e ora uno con tutte le sue registrazioni Deutsche Grammophon, Decca e Philips (51 cd), da solo o in compagnia. Se avevate comprato i primi due e volete anche il terzo, vi troverete in casa un bel po’ di doppioni. E se siete dei bravi spulciatori di cataloghi scoprirete che l’aggettivo “complete” sbandierato dagli scatoloni non è proprio vero.

Se non avete nulla, pigliate solo il tutto Deutsche Grammophon, che ha due o tre cose definitive e una quantità di musica sufficientemente modesta, cosa che rende più facile un ascolto attento.

Dopodiché se volete una consulenza più puntuale sui dischi di Richter potete anche chiedermela direttamente per email. È un argomento che metterei volentieri nella categoria “ossessioni” che arricchisce il bel sito di Internazionale.

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