30 novembre 2015 16:11

Avevamo un duplice dilemma. Prendere la mia macchina con targa israeliana o quella del mio amico con targa palestinese? E quale strada scegliere, tenendo conto dei possibili blocchi israeliani? Era già buio e stavamo andando a una riunione organizzata da un gruppo ambientalista in un villaggio vicino a Ramallah. Il mio amico doveva tenere un discorso e io l’ho accompagnato. La via più breve era a rischio perché passava per un villaggio in cui il clima era molto teso, mentre quella più lunga attraversava molti insediamenti. Abbiamo scelto la strada più lunga e la macchina del mio amico. “È la più sicura”, ha detto (non avrebbero lanciato pietre a un’auto palestinese).

Non erano ancora le sette di sera ma per strada c’erano pochissime macchine. Anche nei centri abitati le strade erano quasi deserte. In un villaggio c’erano alcune pattuglie della polizia palestinese. Il sindaco, con aria sorpresa, ci ha detto che non capitava spesso. A un certo punto ci siamo riconosciuti. Ci eravamo incontrati nel 1998 in un villaggio palestinese con “vicini” molto aggressivi. Per farla breve, i coloni ci avevano sparato contro, ma la nostra denuncia alla polizia israeliana era stata archiviata. I colpevoli non potevano essere rintracciati, ci avevano spiegato. Bugiardi. C’era un soldato al momento dell’attacco e conosceva gli aggressori.
Ma torniamo al 2015: finita la riunione si poteva fare la strada più breve. Ramallah era silenziosa. L’incertezza del momento tiene gli abitanti in casa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 27 novembre 2015 a pagina 22 di Internazionale, con il titolo “Strade deserte”. Compra questo numero| Abbonati

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