24 ottobre 2016 17:39

Un professore emerito di scienze israeliano, che non conoscevo, mi ha chiesto di parlare della società palestinese e del suo atteggiamento nei confronti di Israele a un gruppo di suoi amici e collaboratori. Lì per lì ho accettato. Poi il professore mi ha chiamato per “coordinare le aspettative” e mi ha confessato che, anche se viveva ad Haifa (una “città mista”) e aveva studenti e colleghi arabi, non si parlava mai di questi argomenti. Poi ha aggiunto: “Ma non è il caso di parlare degli orrori dell’occupazione. Li conosco già perché me li raccontano i miei figli, che sono soldati”.

Nella testa ho sentito una vocina amica che mi diceva di non esplodere, così ho risposto educatamente: “Prima di tutto non mi piace che qualcuno mi dica di cosa devo parlare. E comunque è impossibile separare l’atteggiamento della società palestinese dall’occupazione”.

Il professore ha protestato dicendo che quando qualcuno lo invita a parlare lui non si oppone alle sue richieste. Ha detto che non sapeva nulla della società palestinese e che non leggeva i miei articoli. Erano emotivamente troppo impegnativi. Non aveva letto neanche il mio articolo sulla Biennale internazionale palestinese, che chiede al mondo di non considerare la Palestina e i palestinesi come un derivato di Israele e dell’occupazione.

Poche ore dopo ho ricevuto un’email: “Grazie, ma dopo essermi consultato con i miei amici ho deciso di rivolgermi a qualcuno di più accondiscendente”. E così ho la serata libera.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 21 ottobre 2016 a pagina 21 di Internazionale, con il titolo “Poco accondiscendente”. Compra questo numero| Abbonati

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it