14 novembre 2016 19:31

La figlia del cugino di un mio amico sta per sposarsi. Non ci sarebbe motivo per parlarne, se non fosse che lei è musulmana mentre il futuro marito è cristiano. Una “coppia mista”, insomma. Sono entrambi di Nazareth, nel nord di Israele, e le famiglie sono favorevoli alla loro unione. A nessuno è stato chiesto di convertirsi, nessuno boicotterà le nozze e nessuno grida al sacrilegio.

Un’altra notizia, dolce e amara: un mio conoscente che vive in un campo profughi vicino a Ramallah, in Cisgiordania, è preoccupato per il figlio di 24 anni, detenuto in una prigione israeliana da un anno e mezzo e con ancora un anno da scontare. La famiglia ha saputo che il ragazzo urina sangue e ha forti dolori. A quanto pare, non avrebbe ricevuto le cure necessarie. Era da un po’ che volevo occuparmi del trattamento riservato ai detenuti palestinesi malati. Così ho scritto al portavoce dell’autorità carceraria.

La mattina dopo la famiglia ha saputo che il ragazzo era stato trasferito in ospedale per un controllo (nella sua risposta, il portavoce mi ha assicurato che il ragazzo sta già ricevendo le cure necessarie). La famiglia si è un po’ tranquillizzata. Una volta che si entra nel meccanismo, mi ha spiegato un ex detenuto, le cure sono di ottimo livello.

E il resto? Non posso raccontare tutto in questo spazio. Mi limito a questo: la corte costituzionale palestinese ha stabilito che il presidente Abu Mazen può revocare l’immunità a singoli deputati. Un altro passo verso la dittatura nel non-stato palestinese.

Questa rubrica è stata pubblicata il 11 novembre 2016 a pagina 35 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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