06 febbraio 2017 18:11

“Ti sto disturbando, scusa”. “Nient’affatto”. “Vorrei che mi aiutassi con una cosa”. “Prego, dimmi”. Ero curiosa di scoprire cosa volesse quel ragazzo a cui una volta avevo dato un passaggio fino al suo villaggio. “Vorrei sposarmi”. “Mazel tov” (congratulazioni), ho risposto in ebraico-yiddish, per poi passare all’arabo. “La mia fidanzata è di Gaza”. Ops, non sa in cosa si sta cacciando. E invece sì. “Posso portarla qui”. Buone notizie, a quanto pare alcuni palestinesi si sposano su internet. “Lavoriamo nella stessa banca, ci siamo conosciuti a un corso. Può tornare”. Preghiamo. C’è una direttrice di banca a Gaza a cui Israele ha improvvisamente negato il permesso di viaggio.

“Abbiamo bisogno d’aiuto per cambiare l’indirizzo nel suo documento, da Gaza alla Cisgiordania. Ho sentito dire che ci vuole una raccomandazione (wasta, in arabo) per farlo”. Provate a immaginare di vivere a Milano ma sotto il controllo di Parigi. La vostra ragazza è di Vercelli. Volete sposarvi ma non potete vivere insieme a Milano perché lei deve cambiare residenza e Parigi non lo permette.

I wasta non sono nel mio stile, gli ho spiegato. Quindi, se non trovi una soluzione, fai come gli altri: portala da te. Per un po’ vivrà come una reclusa nel tuo villaggio. Non vedrà la famiglia per anni. Non potrà viaggiare. Avrà paura di essere scoperta e di essere deportata a Gaza. Poi, se dio vuole, tra cinque, dieci o vent’anni Parigi (anzi, Gerusalemme) accetterà il cambio di residenza.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

+60Questa rubrica è stata pubblicata il 3 febbraio 2017 a pagina 25 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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