12 settembre 2016 12:39

Prendere decisioni è qualcosa che chiunque sia nel possesso delle proprie facoltà mentali fa per tutta la vita, fin da quando, piccolissimo, conquista un primo, microscopico ambito di libertà (vicino a quale compagno mi siedo al tavolino dell’asilo? Dividerò la merenda con lui?).

Decidere è un processo incerto, faticoso e logorante. Ma quando impariamo a gestirlo? E quando ci rendiamo conto del fatto che, nella vita, ci tocca comunque decidere? E quando capiamo (questo è un passo successivo) che anche non decidere è una forma di decisione? In che momento impariamo come si fa a decidere bene, ammesso che lo impariamo?

La capacità di prendere decisioni è una delle competenze più importanti che i bambini hanno bisogno di sviluppare, scrive Psychology Today, e prendere cattive decisioni è una parte essenziale del percorso verso la maturità. Il problema sorge quando l’attitudine a prendere cattive decisioni si perpetua, e questo accade se i genitori deresponsabilizzano i bambini per quanto riguarda le conseguenze di ciò che hanno deciso.

Poche alternative ma certe
Psichology Today aggiunge alcuni suggerimenti sensati: per esempio, cominciare con piccole decisioni semplici e con un numero ridotto di alternative, per evitare che i bambini siano paralizzati dall’incertezza. E poi: invitarli a pensare per qualche istante prima di decidere. Dopo, chiedergli perché hanno deciso in un certo modo. E invitarli a pensare alle conseguenze.

L’intuizione può servire quando è necessario prendere decisioni rapide, a patto di non lasciarsi fuorviare da un eccesso di fiducia in se stessi

L’americano medio compie circa 70 scelte al giorno. Il medio amministratore delegato affronta 139 complessi compiti a scelta multipla ogni settimana, sostiene la psicoeconomista Sheena Iynegar.

Il McKinsey Quarterly mette a confronto il premio Nobel Daniel Kahneman e lo psicologo Gary Klein su un quesito solo in apparenza banale: “Prendendo decisioni strategiche, quanto bisogna credere alla propria pancia?”.

La risposta di entrambi, in sintesi è: conviene crederci, ma con giudizio. L’intuizione può servire quando è necessario prendere decisioni rapide, a patto di non lasciarsi fuorviare da un eccesso di fiducia in se stessi (overconfidence), e a patto che la situazione non sia troppo turbolenta o del tutto inedita, che la decisione possa essere confrontata con pareri esperti e che ci si interroghi sulle conseguenze. Tutto sommato, non sono indicazioni così diverse da quelle che valgono per i bambini.

Il guaio, sottolinea Kahneman, è che le organizzazioni in genere amano scegliersi manager decisionisti, che la capacità di comando spesso è associata con il decisionismo, e che i gruppi tendono a essere conformisti e ad allinearsi alla decisione presa.

Aggiungo che la stessa cosa succede con i leader politici, specie quando i tempi sono incerti e le prospettive confuse: la sensazione che qualcuno sappia che cosa succede e che cosa andrebbe fatto è irresistibilmente confortante, anche se del tutto infondata. Se ci guardiamo attorno, possiamo individuare più di un fulgido esempio.

Bisogna controllare bene la qualità delle informazioni di cui si dispone

In realtà, sul prendere decisioni si sono scritti centinaia di libri e migliaia di lavori scientifici. Per dire: digitando “decision” su Google Scholar si ottengono quasi due milioni di risultati. Tuttavia la capacità di prendere buone decisioni, a tutti i livelli, presenta ancora ampi margini di miglioramento.

Come fare? Klein suggerisce una tecnica interessante. Si tratta di una proiezione nel futuro: immaginare di vedere in una palla di cristallo le conseguenze della propria decisione scoprendo che tutto è andato storto, e chiedersi come mai. Sembra una maniera efficace per trovare i punti deboli. Kahneman suggerisce di controllare bene la qualità delle informazioni di cui si dispone.

La Harvard Business Review invece dice che il vero modo per “guarire la piaga nascosta dell’incoerente processo decisionale degli esseri umani” è affidarsi agli algoritmi. All’estremo opposto c’è il metodo della gallina usato da alcune tribù dell’Africa centrale: si tratta di avvelenare una gallina e vedere se sopravvive o meno. Ma lanciare in aria una moneta è molto meno cruento e funziona ugualmente.

Se siete indecisi tra l’una e l’altra alternativa, forse possono orientarvi le due storie dei miei personali eroi della decisione. Il primo è Charles Darwin, che al momento di prendere moglie compila un accurato elenco dei vantaggi e degli svantaggi. Anche se gli svantaggi superano i vantaggi, poi alla fine si sposa.

Il secondo eroe si chiama Stanislav Evgrafovič Petrov, il tenente colonnello dell’armata rossa che in una notte di settembre del 1983 si trova a dover decidere in pochi istanti se premere o meno il pulsante che dà l’avvio a un conflitto nucleare. E decide di non farlo. Se non conoscete la storia di Petrov, leggetela, e onoratelo. Qui trovate l’intervista con Petrov fatta dalla Bbc.

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