29 ottobre 2014 09:26

C’è stato un tempo in cui le elezioni negli Stati Uniti scandivano il ritmo del pianeta. Le crisi più gravi si fermavano in attesa del risultato delle urne, e il mondo aspettava il nuovo inquilino della Casa Bianca o il nuovo congresso per sapere quale direzione avrebbero preso gli affari internazionali.

Ora però le cose sono cambiate. Lo sapevate, per esempio, che martedì negli Stati Uniti ci sarà uno scrutinio di grande importanza perché il disincanto che ha colpito Barack Obama e i democratici potrebbe permettere ai repubblicani di conquistare il senato, controllare le due camere e paralizzare l’amministrazione?

La stampa non ne parla, il mondo sembra indifferente. Il motivo è che i cinque continenti hanno capito che gli Stati Uniti non sono più dominanti come in passato.

Questo non vuol dire che gli americani non siano più una potenza di primissimo piano. Quando la Federal reserve decide di far salire i tassi d’interesse, l’Europa indebitata si preoccupa di non poter più prendere denaro in prestito a condizioni così favorevoli.

Quando gli Stati Uniti sfruttano le loro riserve di gas di scisto, il prezzo del petrolio cala e paesi come Russia e Iran si indeboliscono.

Gli Stati Uniti restano una potenza essenziale, ma il crollo sovietico ha risvegliato molti conflitti congelati dalla guerra fredda.

Nuove potenze si sono affacciate sulla scena internazionale, il desiderio di rivalsa della Russia è in aumento e il mondo musulmano è in ebollizione. Per questo la prima potenza economica e militare non può più dettare legge. E un semplice cambio di presidenza o di maggioranza non ha le stesse conseguenze che aveva in passato.

Intanto gli statunitensi sono talmente disorientati dal nuovo secolo che la linea di separazione tra democratici e repubblicani è sempre meno chiara.

Sul versante conservatore, la corrente isolazionista si sta rafforzando, mentre tra i democratici è stato lo stesso presidente Obama a basare la sua campagna per la rielezione sul disimpegno in Iraq e Afghanistan, salvo ripensarci in tempi recenti, rivalutando lo scenario afgano e riportando gli Stati Uniti in Iraq.

In un contesto così incerto, le elezioni statunitensi passano in secondo piano davanti ai rapporti di forza tra denaro, classi medie e forze di sicurezza a Mosca, alla possibile destabilizzazione del potere cinese a causa di un calo della crescita, alle rivalità tra le potenze asiatiche e all’evoluzione in corso in Europa a proposito del deficit e della crescita.

Gli Stati Uniti sono ancora un attore fondamentale, ma il concetto di superpotenza sembra ormai anacronistico.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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