06 maggio 2015 08:50

Una serie impressionante di contratti firmati e da firmare. La Francia non può far altro che gioire, perché questi accordi significano più lavoro, contributi sociali e introiti fiscali, meno deficit di bilancio e un rafforzamento delle industrie civili e militari. Ma da dove nasce questo improvviso successo di Parigi in Medio Oriente?

Innanzitutto dal fatto che gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Iran per stabilizzare la regione e combattere lo Stato islamico, e si sono impegnati a fondo per raggiungere un compromesso con il bastione dello sciismo sulla questione del nucleare. L’accordo, ancora da chiudere, porta con sé una diversificazione delle alleanze americane in Medio Oriente. Di conseguenza le potenze sunnite, molto preoccupate da questa evoluzione, cercano di fare altrettanto con le loro alleanze, e al momento la Francia è l’unica a cui possono rivolgersi perché disposta a vendere armi sofisticate e a sviluppare e modernizzare le loro infrastrutture.

La situazione è semplice: la Francia permette alle potenze sunnite di non dipendere esclusivamente dagli Stati Uniti (di cui non si fidano più) ottenendo in cambio una serie di ordini per le sue industrie da parte dell’Arabia Saudita, dei paesi del Golfo e dell’Egitto. In questo modo Parigi e la sua diplomazia si riposizionano come “partner speciali” delle monarchie petrolifere, diventando attori di primo piano in Medio Oriente.

La Francia e i paesi sunniti hanno tutto da guadagnare da questo riavvicinamento, ma lo scenario attuale solleva due interrogativi. In primo luogo resta da capire se la Francia stia perdendo la sua anima, perché non possiamo negare che le monarchie petrolifere e l’Egitto del maresciallo Al Sisi siano inquietanti dittature. Questi partner diventati “speciali” non sono esattamente immacolati, ma chi lo è oggi in Medio Oriente? Sicuramente non la Siria di Bashar al Assad, e lo stesso vale (ormai) anche per l’Iraq. L’Iran, dal canto suo, è talmente famoso per le sue repressioni di massa da essere considerato un punto di riferimento dal regime iracheno e da quello siriano. In Medio Oriente, insomma, la scelta non è tra dittatura e democrazia ma tra diversi tipi di dittatura, ed è una scelta da compiere in base a interessi politici, economici e diplomatici.

In questo senso bisogna anche stabilire se la scelta della Francia sia valida dal punto di vista della realpolitik. Se pensiamo agli sviluppi dei prossimi 15-20 anni la risposta è no, perché a medio termine l’Iran ha molte più probabilità rispetto all’Arabia Saudita di diventare un paese stabile e democratico affermandosi come potenza regionale. In questo momento, però, Teheran resta un paese destabilizzante e incapace di fare grossi investimenti. A breve termine, dunque, l’Arabia Saudita è un partner più interessante rispetto a Teheran, con cui tra l’altro arriverà il momento di costruire ponti perché gli iraniani non vorranno dipendere sempre e solo dagli Stati Uniti.

In una regione dove tutto si muove in modo vorticoso e in cui bisogna trattare con i cattivi per affermarsi, la Francia ha insomma giocato bene la sua partita. Ma ora arriva il difficile: raggiungere la meta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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