09 ottobre 2015 09:01

In Medio Oriente si è aperto l’ennesimo fronte. Ormai da otto giorni, con coltelli e armi da fuoco, i giovani palestinesi attaccano quotidianamente gli israeliani. Le aggressioni si verificano nei luoghi più disparati e a qualsiasi orario. I responsabili non sono gruppi organizzati e facilmente identificabili, e non ci sono razzi provenienti da Gaza.

Oggi non esiste una guerriglia a cui Israele può rispondere con la guerra. I responsabili delle aggressioni sono individui che conducono una guerra solitaria a cui non c’è soluzione, perché nessuno sa quando, dove e da chi arriverà il prossimo colpo.

Netanyahu ha dato sostanzialmente carta bianca alle forze di sicurezza che sparano al minimo incidente

A meno che non decida di espellere tutti i palestinesi dal suo territorio – ma come? e fino a quando? – Israele dovrà affrontare un problema di sicurezza che non ha soluzione e scatena una paura crescente tra i suoi cittadini. Nessuno vuole cedere al terrore ma tutti, inevitabilmente, si chiedono se la spesa dal droghiere o l’attesa davanti alla scuola risulteranno fatali.

Benjamin Netanyahu alza la voce e promette una “guerra fino alla morte” contro gli autori di queste aggressioni, dando sostanzialmente carta bianca alle forze di sicurezza che sparano al minimo incidente. Il primo ministro israeliano si presenta come uomo forte e rassicurante, ma oltre al fatto che la forza può punire ma mai prevenire, Netanyahu è inevitabilmente sospeso tra la prudenza che sarebbe necessaria e le pressioni dell’estrema destra israeliana che sostiene il suo governo.

Israele è ormai un alleato dei sunniti

Per i nazionalisti, i coloni e la destra religiosa l’unica soluzione sarebbe quella di sviluppare gli insediamenti nei territori palestinesi di cui chiedono l’annessione. Per questo fanno pressione sul primo ministro, ma Netanyahu sa benissimo quali sarebbero le conseguenze di questa svolta: rottura totale con l’Autorità palestinese (con Mahmud Abbas che perderebbe il controllo della situazione), anarchia totale nei territori palestinesi e isolamento ulteriore di Israele sulla scena internazionale.

Se questo movimento non si sgonfierà da solo la situazione diventerà estremamente instabile per Israele, che oggi paga il completo fallimento del processo di pace e le conseguenze del blocco sul fronte interno, ovvero la frammentazione della sinistra e l’ascesa dell’estrema destra.

Gli aggressori sono stati quasi uccisi tutti appena hanno colpito e questo potrebbe ridurre ma anche moltiplicarne il numero. Intanto il paradosso è che Israele non è più un interlocutore del mondo musulmano ma un protagonista delle sue divisioni, perché opponendosi all’Iran è sostanzialmente diventato un alleato dei paesi sunniti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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