13 dicembre 2016 10:01

Donald Trump ha fatto sapere di voler confermare ufficialmente oggi la scelta di Rex Tillerson, amministratore delegato del gruppo petrolifero Exxon Mobil, a segretario di stato, cioè l’uomo che dovrebbe guidare la politica estera del governo statunitense. E nei giorni scorsi, tra un tweet e l’altro, il presidente eletto degli Stati Uniti è sembrato voler indicare la sua nuova linea di politica estera: riavvicinarsi alla Russia in vista di uno scontro frontale con la Cina.

In occasione degli incontri con i candidati alle varie cariche, Trump ha fatto capire che potrebbe cercare un accordo con Vladimir Putin, suo estimatore della prima ora. Per mesi il candidato repubblicano e il presidente russo si sono scambiati complimenti reciproci, e la settimana scorsa Putin ha rincarato la dose sottolineando che Trump “è riuscito a dimostrare di essere una persona intelligente che si assumerà rapidamente e appieno le responsabilità che lo attendono”.

L’inquilino del Cremlino ha tutte le ragioni per mostrarsi fiducioso. Né il futuro presidente statunitense né altri dei suoi stretti collaboratori hanno mai pronunciato una sola parola di critica nei confronti dei bombardamenti russi su Aleppo. Il consigliere per la sicurezza nazionale della prossima amministrazione, Michael Flynn, si è scagliato contro chi criticava l’appoggio della Russia a Bashar al Assad e l’anno scorso è stato tra gli invitati a una cena in onore di Vladimir Putin organizzata da una delle sue catene televisive.

Tensione in aumento con Pechino
Rex Tillerson, l’uomo apparentemente scelto da Donald Trump per guidare il dipartimento di stato, da amministratore delegato di Exxon Mobil ha investito parecchio nel petrolio russo ed è un amico personale di Putin, che lo ha insignito dell’“ordine dell’amicizia” (amicizia nei confronti della Russia, naturalmente). Il solo fatto che Trump sembri voler confermare questa nomina, nonostante le perplessità espresse da democratici e repubblicani del congresso, indica fino a che punto vuole trovare un’intesa con il Cremlino.

Rispetto alla Cina la situazione è molto diversa. Con Pechino Trump ha tirato fuori la rivoltella domenica scorsa, dichiarando che potrebbe ripristinare i legami con Taiwan, la piccola Cina insulare e anticomunista, se i leader della Cina comunista non faranno concessioni sulla loro politica commerciale e regionale. La tensione aumenta rapidamente tra Pechino e Washington, mentre con Mosca sono solo rose e fiori. Trump non sembra interessarsi minimamente alla Siria, all’Ucraina e all’Europa intera, mentre la Cina, stando a ciò che dice una delle persone che lo hanno incontrato ultimamente, è ai suoi occhi “il nemico principale” degli Stati Uniti.

Sostenitore di un “nazionalismo economico”, Donald Trump non sembra più lontano dall’idea di sacrificare gli alleati degli Stati Uniti sull’altare di una battaglia con la Cina in cui avrà bisogno dell’appoggio di Mosca. Per i servizi segreti americani non c’è più alcun dubbio: gli attacchi informatici degli hacker contro la campagna di Clinton sono stati orditi da Mosca. È un’ipotesi che va ancora dimostrata. Donald Trump la nega con decisione, ma i parlamentari repubblicani sono turbati dalla situazione, e Putin avrebbe avuto tutto l’interesse ad agire in questo modo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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