17 marzo 2017 09:54

Prima di tutto i fatti, o in questo caso le parole. “Presto in Europa potrebbe esplodere una guerra di religione”, ha dichiarato ieri il ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, per cui “non c’è differenza” tra Geert Wilders, capo dell’estrema destra olandese, e gli altri partiti olandesi che lo combattono e hanno appena arrestato la sua avanzata.

Con queste parole il ministro ha insinuato che i musulmani olandesi sono fisicamente minacciati. Il suo presidente, Recep Tayyip Erdoğan, ha confermato questa tesi sottolineando nuovamente nella giornata del 16 marzo che il verdetto con cui la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che le aziende possono impedire ai loro dipendenti di sfoggiare simboli religiosi tra cui il velo musulmano non è altro che una “crociata contro i credenti”, dunque una crociata contro l’islam.

Abbiamo letto queste parole e non possiamo fare a meno di domandarci se i leader turchi hanno completamente perso la ragione, anche perché le elezioni olandesi hanno segnato la vittoria dei nemici dell’estrema destra e il verdetto della Corte di giustizia non fa altro che permettere alle aziende di rifiutare un’assimilazione indiretta a una qualsiasi fede religiosa.

Un’operazione di sopravvivenza
Il problema, chiaramente, non è che il presidente turco e il suo ministro degli esteri sono impazziti, ma che mentono spudoratamente perché sono in preda al panico.

A torto o a ragione, temono che in occasione del referendum costituzionale del 16 aprile i turchi diranno no al passaggio del paese a un regime presidenziale che concederebbe tutti i poteri (o quasi) a Erdoğan. I sondaggi confermano questa ipotesi, e per evitare che si avveri, il regime vuole far credere agli elettori che la Turchia è vittima dell’ostilità dei paesi europei e che l’islam è perseguitato nei Paesi Bassi, in Germania e in tutta l’Europa.

È evidente che la Turchia si sta isolando come mai prima d’ora

È un’operazione di sopravvivenza in cui la diaspora turca dei paesi dell’Unione ha un ruolo fondamentale, perché dei due quinti dei turchi residenti in Europa che partecipano alle elezioni nazionali, più della metà (il 60 per cento) vota abitualmente per l’Akp, il partito di Erdoğan.

L’obiettivo è quello di far credere a queste persone che sono in pericolo e per ottenere questo pugno di voti che potrebbero risultare determinanti il presidente turco e il suo governo sono pronti a tutto, anche a compromettere i loro rapporti con l’Unione rilasciando dichiarazioni assurde e accusando olandesi e tedeschi di essere “nazisti”.

Questa manovra potrebbe anche funzionare. A questo punto sarebbe avventato fare pronostici, ma è evidente che la Turchia si sta isolando come mai prima d’ora: sempre più emarginata all’interno della Nato, ad anni luce di distanza da un’ingresso nell’Unione, in conflitto in Siria con l’Iran e con un unico amico, Vladimir Putin, che non può aiutarla più di tanto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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