19 maggio 2017 12:58

Non siamo ancora alla destituzione. È uno scenario possibile, perché giorno dopo giorno si accumulano le prove di una connivenza tra la squadra che ha curato la campagna di Donald Trump e l’ambasciata russa a Washington. Ormai il presidente è accusato di aver interferito con la giustizia, in quanto avrebbe chiesto a James Comey, direttore dell’Fbi da poco licenziato, di lasciar cadere l’inchiesta su Michael Flynn, suo consulente per la sicurezza nazionale che era stato costretto a dimettersi a causa dei contatti troppo stretti con la Russia.

Intorno al presidente degli Stati Uniti si concretizza il sospetto più inconcepibile, ovvero quello di essere stato il candidato del Cremlino. La faccenda è estremamente seria e potrebbe presto avere sviluppi decisivi, perché il 17 maggio il dipartimento di giustizia ha incaricato un procuratore speciale di indagare su quanto accaduto. Ma in questo momento non c’è alcuna pistola fumante, nessuna prova irrefutabile di una colpevolezza diretta del presidente che possa provocarne la destituzione o le dimissioni, come quelle di Richard Nixon dopo lo scandalo Watergate.

Una fonte di imbarazzo
Dal punto di vista giuridico potrebbe essere “troppo rumore per nulla”, ma sul piano politico viviamo una situazione del tutto inedita le cui conseguenze sono già devastanti.

Donald Trump è più che mai un motivo di imbarazzo per la maggioranza repubblicana al congresso, che teoricamente dovrebbe essere dalla sua parte. I deputati repubblicani non sanno cosa scegliere tra il pericolo di restargli fedeli e il pericolo di lasciarlo cadere, con conseguenze negative per il loro partito e per i loro seggi.

A Washington cresce la paralisi politica, tanto più grave se consideriamo che alla Casa Bianca i collaboratori più stretti del presidente sono sbalorditi davanti alla sua incapacità di tenere conto dei loro avvertimenti. Trump appare come un megalomane irresponsabile, sordo e cieco a ogni campanello d’allarme.

Diciamolo, un folle occupa lo studio ovale, e questo eclissa di fatto la prima potenza economica e militare del mondo, quegli Stati Uniti dai quali gli alleati europei, mediorientali, asiatici e latinoamericani prendono le distanze così come i repubblicani, perplessi, prendono le distanze da Trump.

Lasciamo da parte il cambiamento climatico, gli effetti perversi della globalizzazione e la questione russa. Per il mondo il problema più attuale risponde al nome di Trump, lo stesso uomo che – detto tra parentesi – l’estrema destra europea e Marine Le Pen considerano un esempio da seguire. Evidentemente si è creato un vuoto, e se questo vuoto perdurerà nel tempo potrebbe presto presentarsi un’occasione per la Francia e la Germania e per l’Unione europea di occuparlo, perché la politica non ammette vuoti.

Staremo a vedere. Tutto può ancora cambiare, e se ne riparlerà. Intanto, il 19 maggio, l’Iran vota per le presidenziali, uno scrutinio decisivo tanto per il Medio Oriente quanto per il resto del mondo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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