17 marzo 2015 16:40

L’edificio si trova lungo un viale di Rifredi, un quartiere storico di Firenze. All’esterno muri di cinta bianchi, sorvegliati da telecamere. Silenzio e locali asettici all’interno, come si conviene a un’azienda farmaceutica. È qui, nel cuore di questa struttura militare a forma di pentagono, che si coltiva la cannabis di stato: piantine destinate a essere trasformate in medicinali per pazienti affetti da alcune patologie. La speranza è quella di mettere fine alla dipendenza dall’estero dell’Italia, che importa farmaci a base di cannabis dai Paesi Bassi, a prezzi elevatissimi, in alcuni casi fino a 70 euro al grammo. L’obiettivo è riuscire in futuro ad abbassare i costi in maniera significativa e garantire una maggiore disponibilità del prodotto.

La messa a dimora delle prime piantine in serra è cominciata all’inizio di marzo, per arrivare, entro la fine del 2015, a un raccolto di cento chilogrammi di infiorescenze. “Per noi è un po’ come tornare alle origini”, spiega il colonnello Antonio Medica, direttore dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, uno degli otto impianti dell’Agenzia industrie difesa (Aid), e responsabile del progetto cannabis. “Quando lo stabilimento fu fondato, nel 1853 a Torino, c’era un’emergenza legata alla malaria e fu scoperta la capacità curativa della china. Così fu avviata la produzione di farmaci. Adesso siamo tornati a occuparci di un prodotto di origine vegetale come la canapa”.

Il via libera alla produzione italiana di cannabis terapeutica arriva dal protocollo firmato il 18 settembre 2014 dai ministeri della difesa e della salute che affida allo stabilimento fiorentino il compito di procedere alla sperimentazione. In Italia, già nel 2007 i farmaci a base di delta-9-tetraidrocannabinolo (thc) di origine sintetica sono stati ammessi dal ministero della salute e nel 2013 è stata riconosciuta l’efficacia anche dei medicinali di origine vegetale a base di cannabis.

Ma resta il divieto di coltivazione, consentita solo per scopi scientifici o per un’eventuale trasformazione della canapa in medicinale con l’autorizzazione del ministero della salute. La sperimentazione di Firenze nasce in questo contesto.

Alle terapie a base di cannabis ricorrono malati che soffrono di patologie diverse, come la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, le fibromialgie, l’anoressia. In oncologia questi farmaci servono per intervenire sugli effetti della chemioterapia.

Ma quanto sono accessibili questi farmaci per i pazienti italiani? Le procedure per ottenerli sono macchinose, lunghissime e prevedono una serie di passaggi che coinvolgono il ministero della salute, il medico, le farmacie, le aziende sanitarie locali, i produttori all’estero e i fornitori.

Antonella Soldo e Francesco Gentiloni descrivono i passaggi in un dossier del giugno 2014 curato per l’associazione Luca Coscioni e A buon diritto, e che conteneva la proposta del senatore Luigi Manconi di affidare allo stabilimento di Firenze la produzione di farmaci a base di cannabis.

Nel 2013 sono state rilasciate 213 autorizzazioni all’importazione di medicinali a cannabis dall’Olanda. Dal momento che ogni paziente è tenuto a importare il farmaco per un dosaggio non superiore alla necessità di tre mesi di terapia, deve inoltrare la richiesta di importazione per quattro volte in un anno. Il dato va dunque diviso per quattro: nel 2013 meno di 60 persone sono riuscite a ottenere il farmaco. Sono davvero così pochi i pazienti che vorrebbero accedere a questa terapia?

Ovviamente no. Lo stesso ministero della salute parla di almeno 3.300 pazienti interessati a queste terapie. Ma secondo gli esperti, questa cifra sarebbe sottostimata.

Provvedere a queste esigenze è la sfida a cui devono rispondere i farmacisti “in divisa” di Firenze. Le misure di sicurezza all’interno dello stabilimento sono severe.

“Con la canapa dobbiamo garantire la sicurezza e la qualità delle piante, che non possono certo essere coltivate in campo aperto. Le serre permettono inoltre di avere piantine con contenuti di princìpi attivi standardizzati”, prosegue il colonnello Medica.

Alle serre si accede solo dopo aver superato porte che si aprono con una combinazione, si procede poi lungo corridoi larghi e silenziosi, costeggiati da locali sterili dove vengono lavorati gli altri medicinali prodotti nello stabilimento fiorentino.

La prima serra, di 50 metri quadrati, è già attiva. Le altre tre, sempre di 50 metri quadrati ciascuna, sono ancora in costruzione e saranno pronte prima dell’estate. Si tratta di locali speciali. Protette dalla luce soalre, le serre sono dotate di illuminazione artificiale (500 euro di lampade per metro quadrato), l’irrigazione è controllata da un computer che verifica la purezza dell’acqua e l’aria è filtrata da un condizionatore per impedire che le piantine, tutte femmine, possano essere fecondate dall’esterno, rendendo inutile la coltivazione.

All’esterno dalla serra ci sono gli spogliatoi per gli addetti, che possono avvicinarsi alle piantine solo indossando camici, guanti e mascherina. Dopo la raccolta – se ne prevedono almeno tre all’anno – le infiorescenze saranno essiccate per due settimane in un locale predisposto con un impianto che fornisce aria a bassissimo contenuto di umidità. Infine saranno macinate e confezionate in flaconi da 5 grammi destinati alle farmacie.

“Si tratta di una prima produzione”, spiega il colonnello “utile a dare una risposta il più veloce possibile”. La sperimentazione riguarderà per ora un piccolo numero di piantine, lo stretto necessario per svolgere le procedure burocratiche di registrazione con il ministero della salute e l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), poi si partirà con la produzione vera e propria.

È prevista la coltivazione di due tipi di piante: la prima avrà una concentrazione di principi attivi (thc e cbd) pari al 5-6 per cento. Da queste piante si potrà ricavare una preparazione simile al Bediol, uno dei medicinali attualmente importati dai Paesi Bassi. Il primo raccolto di cento chili previsto per la fine dell’anno sarà costituito da questo tipo di piante. Entro il 2016, invece, sarà avviato un secondo tipo di coltivazione, questa volta ad altissimo contenuto di thc (fino al 19-20 per cento) da usare per la produzione di un farmaco simile al Bedrocan, un altro prodotto olandese importato.

Per quanto riguarda i costi, con la produzione nello stabilimento di Firenze il risparmio dovrebbe essere notevole. “Oggi il Bediol importato costa 30 euro al grammo, mentre l’equivalente prodotto da noi potrebbe scendere a 15 euro. Nella speranza che in futuro si riesca ad abbassare ulteriormente il prezzo, magari arrivando a quello delle farmacie comunali che importano direttamente i farmaci dall’Olanda”, spiega il colonnello Medica. Se così fosse, si potrebbe ipotizzare un costo compreso tra i sette e gli otto euro al grammo.

Attualmente se i farmaci sono erogati dalle farmacie ospedaliere o sono rimborsati dai servizi sanitari regionali, sono gratuiti, altrimenti è il paziente a farsene carico. Ma le possibilità di rimborso a livello regionale sono basse. Sono undici le regioni che consentono terapie a base di cannabis, ma solo una, la Toscana, ha varato una legge che per la prima volta prevede anche il rimborso per i pazienti.

Al di là dei costi, della disponibilità e delle procedure farraginose, c’è un altro aspetto che rende complicato il ricorso alla cannabis a scopo terapeutico.

Molti malati sono costretti a rivolgersi al mercato illegale perché si sono scontrati con medici che non sono disposti, pur avendone la possibilità, a prescrivere tali medicinali o che addirittura non sanno di poterlo fare. Così come i farmacisti, che non accettano le ricette per lo stesso motivo.

Tutto questo dimostra quanto siano ancora forti i timori e le resistenze nei confronti della cannabis, nonostante in ambito scientifico non vi siano più dubbi sulla sua efficacia medica. Sembra che non si riesca a superare l’associazione tra uso terapeutico e uso ricreativo della sostanza, a conferma delle barriere culturali che impediscono di considerare l’opportunità curativa della pianta.

Dall’altra parte c’è chi intravede altre opportunità in termini economici e occupazionali. “La coltivazione, la trasformazione e il commercio in Italia della cannabis a scopo terapeutico potrebbe generare un giro d’affari di 1,4 miliardi di euro e garantire almeno diecimila posti di lavoro”, spiega la Coldiretti in uno studio dedicato al settore.

Prospettive occupazionali che al momento sono solo teoriche. Per realizzare quattro serre e avviare la produzione sperimentale nello Stabilimento chimico farmaceutico di Firenze il ministero della difesa ha speso finora un milione di euro. E si tratta solo del capitale iniziale, destinato a crescere in futuro, nel caso si decidesse di aumentare la produzione.

Il settore è in attesa di trovare il suo spazio, anche considerando quanto è accaduto con la canapa industriale: dopo decenni di oblio nel nostro paese sono riapparse le coltivazioni, riaccendendo le speranze di molti agricoltori. Negli anni quaranta l’Italia era il secondo produttore mondiale della cannabis sativa per uso industriale, soprattutto tessile.
Poi è arrivato il declino, dovuto all’industrializzazione, ma anche alle campagne internazionali contro le sostanze stupefacenti. Ne è una prova la Convenzione unica sulle sostanze stupefacenti delle Nazioni Unite del 1961, ratificata anche dall’Italia, che prevedeva la distruzione delle coltivazioni di canapa nel giro di vent’anni. Obiettivo che è stato raggiunto.

Dal 1998 è stata di nuovo consentita in Italia la coltivazione, a scopi industriali (per uso tessile, edile, cosmetico, alimentare), di una varietà di canapa a basso contenuto di thc (inferiore allo 0,2 per cento). Assocanapa e altre associazioni sono impegnate in una battaglia soprattutto culturale per promuoverne la coltivazione. E i risultati sono tangibili: nel 2014 le aziende agricole che hanno seminato canapa sono 314 e la superficie totale coltivata è di 1.289 ettari, un aumento del 150 per cento rispetto al 2013. Un settore in espansione e un altro tabù quasi superato. È in ambito medico, tuttavia, che si fa più urgente la necessità di affrontare resistenze e remore, offrendo una possibilità reale di accesso alla cannabis.

La sperimentazione di Firenze è un primo passo. Occorre andare avanti: semplificare le modalità di prescrizione e offrire maggiori garanzie a pazienti e medici. Fare in modo che in tempi brevi si ottenga quanto già avviene per i medicinali a base di oppiacei e cioè la possibilità di ricorrere alla cannabis come a qualsiasi altra cura.

E non solo per alcune patologie, stabilite per legge, ma in tutti i casi in cui quella terapia si dimostri efficace, a partire dal trattamento del dolore, indipendentemente dalla sua origine.

Si tratta di assicurare a migliaia di malati l’opportunità di vivere meglio. Che vuol dire tutelarli nella scelta della cura più adeguata e quindi garantire semplicemente un diritto.

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