25 gennaio 2021 17:22

Negli ultimi dieci anni l’Egitto ha prodotto vari film che hanno ottenuto premi nell’ambito di concorsi internazionali. I nuovi registi siriani, invece, hanno usato il potere del cinema per promuovere una contronarrazione sulla rivoluzione e la guerra. Nello Yemen, dopo la rivoluzione, è stato proiettato il primo film prodotto nel paese in decenni. Il cinema rivoluzionario del Medio Oriente ci fa rivivere i grandi momenti di una straordinaria utopia politica.

Nella ricca scena cinematografica egiziana, epicentro della produzione del Medio Oriente, molti registi affermati dimostrano già con opere come The Yacoubian building del 2006, Heya fawda (il caos) del 2007 o Aquarium del 2008 di aver intuito che all’interno della società egiziana soffia un vento di libertà.

Quando il 25 gennaio 2011 cominciano le proteste, a queste visioni si aggiungono le prospettive di nuovi artisti, che provano a rendere il senso e la vitalità dell’incredibile utopia vissuta per diciotto giorni nella piazza del centro del Cairo intitolata alla liberazione (tahrir).

Egitto, l’utopia di Tahrir
Il 25 gennaio di dieci anni fa piazza Tahrir si riempie di manifestanti che gridano “Pane, dignità e libertà”, reclamando la fine del regime di Hosni Mubarak, al potere da 29 anni. I manifestanti occupano la piazza per diciotto giorni. Questo diventa un numero magico nella psiche rivoluzionaria e torna nel titolo di uno dei primi film che provano a interpretare in forma corale quel sogno collettivo: 18 days, presentato al festival di Cannes nel 2011, è il mosaico degli sguardi di dieci registi – tra cui nomi famosi come Yousry Nasrallah o Ahmad Abdalla – che mettono a confronto le loro prospettive su quei giorni.

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Più concentrato sulla piazza, The square, nominato agli Oscar per la categoria dei documentari, sintetizza la vitalità e la forza dell’utopia della piazza, dando voce a molti protagonisti di quei giorni. Già nel 2013 il film prevede che i tempi rivoluzionari saranno molto più lunghi di quanto sperato.

All’opposto di queste due opere, il favoloso Clash (2016) segue la regola teatrale dell’unità di tempo e di luogo: si svolge interamente in un furgone della polizia dove sono rinchiuse persone molto diverse tra loro ai tempi delle manifestazioni del 2013, dopo la caduta del governo guidato dai Fratelli musulmani. Il regista riesce a rinchiudere un paese intero in quattro metri quadrati, e a far ridere, mettendo in risalto importanti paradossi.

Dopo l’entusiasmo dei diciotto giorni, il grande regista Yousry Nasrallah s’interessa anche agli “altri” egiziani, quelli per cui il regime significava pane e stabilità. In Dopo la battaglia Nasrallah ritrae e mostra le ragioni di uno dei “cavalieri” che attaccano i manifestanti durante la tristemente famosa “battaglia dei cammelli”, il giorno prima della caduta di Mubarak.

Il sorprendente documentario Crop è invece la testimonianza paradossale di Marouan Omara, fotografo ufficiale del regime, che per la sua intera carriera ha lavorato per il giornale di stato Al Ahram. Confinato in un letto di ospedale al momento dell’evento storico, leggendo il suo giornale non trova notizie sugli eventi di Tahrir mentre il giovane paziente vicino a lui riceve mille notifiche sul suo telefono. Omara propone così un’importante riflessione sul potere delle immagini e la censura di stato.

Della censura Bassem Youssef, ex chirurgo diventato la principale voce della satira durante la rivoluzione con il programma televisivo El Barnameg, dà un resoconto agghiacciante in Tickling giants, dove racconta la sua lotta contro il bavaglio imposto dai Fratelli musulmani. Youssef perde la battaglia e l’esilio è il prezzo da pagare per essersi permesso di “fare il solletico ai giganti”.

Un ultimo film, Omicidio al Cairo, ha come protagonisti dei personaggi a prima vista periferici rispetto alla rivoluzione: poliziotti corrotti, prostitute, uomini d’affari senza scrupoli, migranti sudanesi… Ma, in fin dei conti, è un’aspra critica all’orrore della corruzione del regime Mubarak.

Siria, ricordare la rivoluzione in tempo di guerra
Se prima della rivoluzione la Siria produceva molte serie televisive, i registi cinematografici del paese avevano poco seguito fuori del mondo arabo. La rivoluzione siriana, a cui è rapidamente subentrata la guerra, ha invece fatto emergere delle voci che, in pieno conflitto, volevano ricordare gli obiettivi iniziali delle proteste.

Le migliori riflessioni arrivano dai documentari più che dai film di finzione. Alcuni sono stati criticati per il fatto di essere stati prodotti da stranieri e l’obiettivo – rivendicato – di voler presentare la realtà siriana agli stranieri. In ogni caso, scrive il quotidiano indipendente siriano Enab Baladi, il successo di Alla mia piccola Sama, candidato all’Oscar, e della sua giovane regista di Aleppo non dovrebbe sminuire l’incredibile testimonianza di questo film girato in un ospedale di Aleppo, sotto i bombardamenti. Così come non va sminuita la forza dei due documentari del regista Fares Fayyad Last men in Aleppo o The cave che scavano nel dolore più profondo. Questi film, al di là del loro valore artistico, sono serviti a documentare i crimini di guerra del regime di Damasco.

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Un’ondata di realismo e di riflessioni sulla forza delle immagini permea anche film a basso costo ma ambiziosi, come House without doors di Avo Kaprealian o ancora Still recording di Saeed al Batal e Ghiath Ayoub. Un attore nella tragedia siriana di Rami Farah aggiunge il tassello finale al panorama di questo dramma: la necessità dell’esilio per Fares Helou, uno dei più famosi attori siriani, che è il destino toccato a gran parte della popolazione siriana.

Yemen, il cinema rinasce
Una rapida incursione nel cinema yemenita ci regala un prezioso documentario: Karama has no walls. Il film riesce a catturare in trenta minuti l’eccezionalità della rivoluzione yemenita del 2011. In un paese ancora caratterizzato dalle strutture tribali, spiega il regista, dove ogni uomo porta un’arma come parte dell’abito tradizionale, la rivoluzione (che voleva essere strettamente pacifica) è stata una rivoluzione in sé. Infine 10 days before the wedding descrive gli effetti della guerra – i bombardamenti sauditi costringono i giovani sposi a spostare la festa di nozze – sulla vita quotidiana. È il primo film prodotto in Yemen da decenni e nel 2017 ha riempito i cinema di Aden e Sanaa, che erano rimasti vuoti a lungo.

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