19 febbraio 2014 16:00

Pubblicazioni speciali, servizi speciali, una pioggia di portfolio, trasmissioni su radio e tv: tutto il mondo dei mezzi d’informazione francesi si unisce, in modalità celebrativa, alla grande retrospettiva che il Centre Pompidou di Parigi ha dedicato a Henri Cartier-Bresson, nel decennale della sua morte (3 agosto 2004).

Poco male, anche se questa commovente unanimità – giustificata da una retrospettiva imponente che riunisce più di cinquecento documenti, fotografie, dipinti e disegni, con un approccio che non lascia fuori nulla, né l’influenza del surrealismo, né l’impegno politico, né le relazioni con il cinema – sembra dimenticarsi di una

realtà con cui era necessario fare i conti.

Abbiamo dovuto aspettare il decennale della morte di Cartier-Bresson perché il museo nazionale d’arte moderna decidesse di consacrare una grande mostra all’artista che si era guadagnato ben prima il titolo di “occhio del secolo”. E questo la dice lunga sulla resistenza dell’istituzione museale a considerare la fotografia come forma d’arte, una volta per tutte.

Il Moma di New York aveva organizzato una prima esposizione monografica dedicata a Henri Cartier-Bresson già nel 1947. E da allora non ha mai smesso di esplorare la sua opera con pubblicazioni che hanno fatto epoca.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it