20 aprile 2016 20:37

Fino all’11 luglio il Grand Palais di Parigi ospiterà una mostra di portata storica. È la prima volta che in questo luogo, simbolo di estrema sacralizzazione delle opere d’arte, sono esposti i lavori di un artista africano. E per di più un fotografo. Si tratta di Seydou Keita (1921-2001), l’elegantissimo artista maliano che ha saputo rendere il gioco grafico dei tessuti africani e cogliere in un solo attimo, quello giusto, la presenza dei suoi modelli, i clienti che desiderava anzitutto soddisfare.

Keita infatti lavorava solo con la luce naturale e, per ragioni di risparmio, di ogni soggetto faceva un solo scatto, che doveva per forza essere quello giusto. L’unicità del suo lavoro e l’originalità del suo punto di vista lo hanno reso il fotografo ufficiale del Mali indipendente. La retrospettiva deve moltissimo alla collezione, con sede in Svizzera, di Jean Pigozzi ed espone sia rari pezzi d’epoca sia degli ingrandimenti di alcuni dettagli, proprio quelli che avevano colpito il collezionista e lo avevano convinto della qualità eccelsa del lavoro di Keita.

La mostra è stata inaugurata ufficialmente il 31 marzo dal presidente della repubblica francese François Hollande. A questo punto non resta che suggerire al Grand Palais di occuparsi un po’ più spesso anche di artisti viventi. Questo splendido spazio museale, con la sola eccezione del fotografo e regista Raymond Depardon, sembra essere dedicato solo al culto dei defunti.

Questa rubrica è stata pubblicata il 15 aprile 2016 a pagina 98 di Internazionale, con il titolo “Il raffinato ritrattista di Bamako”. Compra questo numero | Abbonati

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