14 febbraio 2024 16:59

Ci sono album la cui estetica si confonde con quella dell’ecosistema promozionale in cui uscirono. Coming down, l’album del debutto solista del britannico Daniel Ash, già fondatore del movimento dark con i Bauhaus, nel mio ricordo è strettamente legato alla trasmissione di Mtv 120 minutes, che era un format notturno dell’emittente statunitense dedicato a quello che all’epoca si chiamava rock alternativo. È andata in onda dal 1986 al 2000. Quella di alternative rock o college rock, la musica (non necessariamente rock) programmata dalle radio dei campus statunitensi, era un’etichetta particolarmente lasca che, a fine anni ottanta primi novanta, accorpava artisti diversissimi tra loro come R.E.M., Throwing Muses, Jane’s Addiction e Red Hot Chili Peppers. E poi c’era tutta la musica britannica che per gli americani era new wave (dai Depeche Mode agli Erasure, dai New Order ai Pet Shop Boys). Le college radio erano un’allegra accozzaglia di suoni che andavano dal revival del synth pop inglese al rock dei Pixies e dei Mudhoney. L’etichetta, altrettanto lasca, di indie rock sarebbe arrivata un po’ dopo.

120 Minutes era la voce del college rock americano su Mtv: in uno studio un po’ cavernoso, arredato come la stanza di uno studente darkettone e un po’ caratteriale, vj come Kevin Seal e Dave Kendall, intervistavano star laconiche e imbronciate dai capelli pieni di lacca e con gli occhiali da sole perennemente inforcati. Il più che trentenne Daniel Ash, nel 1990, era il più bello e misterioso. Aveva tutto: l’autorità del padre fondatore (i suoi Bauhaus con Bela Lugosi’s dead avevano praticamente inventato il gothic rock nel 1979) e la bellezza dell’artista maledetto (mascella quadrata, sorriso obliquo e giubbotto di pelle da motociclista).

Nel 1990 Ash era anche una popstar. L’anno prima, con il suo secondo gruppo, i Love and Rockets, aveva avuto un grande successo negli Stati Uniti con So alive, un pezzo fondamentalmente pop (non troppo lontano da Need you tonight degli INXS ma completamente senza funk), tutto batteria riverberata, echi e cori paradisiaci. So alive era oscura e sexy, aveva un bel appeal pop, ma anche qualcosa di pericoloso e di noir. Chi comprava l’album dei Love and Rockets sperando di sentire altri pezzi come So alive rimaneva deluso: la musica di quel disco era un rock rumoroso, pieno di feedback e ispirato al suono denso e rumoroso dei Jesus and Mary Chain.

Daniel Ash ha sempre ammesso di non essere bravo a lavorare in gruppo. In un’intervista del 2005 è arrivato a dire che invidiava i Pet Shop Boys: “Sono solo in due. E sono sempre d’accordo su tutto”. Ash invece era abituato alle risse continue, ai battibecchi, ai litigi così tipici di tutti i gruppi post punk britannici. E nel frattempo stava affinando un suo stile personale, sempre più legato al rock ‘n’ roll classico degli anni cinquanta e all’immaginario cinematografico americano. Anche il suo stile chitarristico stava cambiando: a metà degli anni ottanta aveva scoperto l’e-bow, ovvero l’archetto elettronico, che permetteva di far suonare una chitarra come un violino o un violoncello, sostenendo a lungo una singola nota. L’effetto era malinconico ed evocativo, lontano anni luce dalle chitarrone del rock alternativo di quegli anni.

Daniel Ash, “This love”, 1990

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Coming down era nato come un album di cover perché Ash, svuotato da anni di tour con i Love and Rockets, non aveva pezzi nuovi. E infatti nell’album le cover sono ben tre: la classica Blue moon di Rodgers e Hart, Day tripper dei Beatles e uno standard del 1927, la bellissima Me and my shadow. Già questi tre pezzi possono servire da bussola per capire che direzione volesse prendere Daniel Ash. Blue moon, un romantico standard degli anni trenta, dà la sfumatura di colore che pervade tutto l’album: l’azzurrino tremolante dell’effetto notte della vecchia Hollywood. Per dare un’idea della popolarità di quel pezzo, anche nell’Italia degli anni trenta e quaranta (me lo raccontava mia nonna) un appuntamento romantico con un ragazzo veniva chiamato “blue moon”. Daniel Ash però canta Blue moon come dal fondo di un pozzo: la sua voce arriva, opaca e metallica, da un posto lontanissimo, un po’ Dracula e un po’ principe azzurro delle favole.

Coming down vuol dire uscire dagli effetti di una droga potente, riprendere i sensi. Blue moon è una intro tremolante che viene interrotta improvvisamente dal fragore del primo pezzo vero e proprio, Coming down fast, una secchiata d’acqua gelata su una persona ancora mezza addormentata. Poi le cose cominciano a farsi davvero strane: Walk this way è un mambo notturno e malinconico firmato insieme a Tito Puente, il leggendario re del latin jazz. La voce di Daniel Ash si confonde a quella della cantante belga-egiziana Natacha Atlas. È proprio la presenza della voce di Atlas (che canta in nove tracce su dodici) a essere la caratteristica più notevole del nuovo suono noir e romantico di Daniel Ash. Atlas, sarebbe diventata famosa di lì a poco come cantante e danzatrice del ventre del gruppo etno-dance Transglobal Underground.

Day tripper dei Beatles, che lo stesso Paul McCartney aveva descritto nel 1970 come una drug song, viene trattata appunto come tale: un duetto stralunato e letargico in cui le voci di Natacha Atlas e di Daniel Ash sembrano una sola. Una drum machine dà il ritmo e per tutta la prima strofa il famoso riff della canzone è suonato solo dal basso, entra la chitarra entra dopo. Ma come in tutte le canzoni di questo album non c’è mai un climax o una risoluzione. È come fare l’amore sotto l’effetto di un potente narcotico: si può galleggiare piacevolmente ma non si conclude mai.

This love è un tentativo, neanche troppo mascherato, di rifare So alive, la canzone che tanta fortuna aveva portato ai Love and Rockets. Il protagonista della canzone si rotola per terra dopo essere stato preso a calci da una sorta di belle dame sans merci, una dominatrix tanto affascinante quanto spietata. “Questo non è un bel modo di divertirsi”, dice lui. Lei lo guarda sprezzante e gli dice: “La tua vita comincia ora”.

Candy Darling è un’elegia dedicata alla famosa superstar della factory di Andy Warhol, l’attrice transgender (1944-1974) resa famosa nell’underground newyorchese degli anni sessanta con i film Flesh e Women in revolt. Nei tardi anni ottanta e primissimi anni novanta tutte le band di rock alternativo avevano un’ossessione per le celebrità perverse e infelici create dal genio spietato di Andy Warhol. Le loro storie di tragiche bellezze rovinate da una fama volatile e dalla tossicodipendenza hanno affascinato band diverse come i Cult, che nel 1989 scrissero Edie (Ciao baby) dedicandola alla bella e sfortunata Edie Sedgwick, e i Transvision Vamp che nella loro Andy Warhol is dead sciorinano i nomi di tutte le superstar che si sono bruciate morendo prima del loro burattinaio. In generale in molte canzoni di Coming down aleggia lo spirito dei Velvet Underground: in Not so fast Daniel Ash sembra quasi fare un’imitazione di Lou Reed.

L’album si chiude con Coming down slow, una versione acida e rallentata di Coming down fast, la canzone che, come uno schiaffo in faccia, apriva l’album. Più che una canzone è un drone che si allarga come una macchia nera di petrolio su un mare color piombo. Coming down fast e Coming down slow, ovvero i due modi opposti di riprendere i sensi: tutto accelera dopo droghe letargiche come l’hashish, la keta o l’eroina, tutto torna a rallentare dopo coca e speed.

Coming down non è certo un album perfetto (ha avuto scarso successo anche tra il pubblico dark e un po’ morboso di 120 Minutes) però è un lavoro molto interessante da un punto di vista estetico: il britannico Daniel Ash, nato a Northampton nel 1957, si è creato all’inizio degli anni novanta una nuova immagine americana. È uno dei tanti artisti new wave o post punk britannici che hanno trovato una casa tra le palme della California. Hollywood diventa lo scenario psichico di tutte le sue canzoni: alla fine se ci pensiamo bene anche Los Angeles è una spietata città industriale. Non ci sono miniere o acciaierie come nel nord dell’Inghilterra ma c’è il cinema, che a suo modo è un’industria estrattiva in cui le materie prime da spremere sono la bellezza, la giovinezza e il talento. Oggi Daniel Ash ha 66 anni, vive a due ore da Los Angeles e possiede più di venti moto.

Daniel Ash
Coming down
Beggars Banquet, 1990

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