16 dicembre 2014 12:37

Bruxelles è una città piccola ma carica di responsabilità, una sorta di millefoglie istituzionale: capitale del Belgio (nonché della regione Bruxelles-Capitale, della Comunità francese e della Comunità fiamminga) e cuore dell’Unione europea, è formata da 19 circoscrizioni molto autonome, le communes. Di solito i vari ingranaggi istituzionali girano senza grossi intoppi, ignorandosi tra loro. A volte nasce qualche protesta a questo o a quel livello. Più raramente accade che il malcontento attraversi contemporaneamente tutti i livelli, da quello locale a quello europeo. È quanto sta succedendo questo inverno.

Partiamo dalle proteste di quartiere. Chi ha visitato Bruxelles almeno una volta conoscerà il mercato delle pulci di place Jeu de Balle, nel quartiere popolare dei Marolles. Il progetto di un parcheggio sotterraneo sotto la piazza ha scatenato le proteste di abitanti e amanti del quartiere, decisi a far tornare la commune sui suoi passi (come accadde nel 1969, quando le autorità dovettero abbandonare il progetto di ingrandimento del palazzo di giustizia che sovrasta i Marolles).

Nella zona universitaria di Bruxelles, il comitato Sauvons la plaine lotta dal 2013 per sottrarre alla speculazione edilizia il più grande spazio verde della commune di Ixelles. E questo weekend a Bruxelles è nata la prima Zad (zone à défendre) del paese, ispirata alle occupazioni francesi di Notre-Dame-des-Landes, Sivens e Roybon: diciotto ettari di verde nel nord della capitale, ad Haren, dove il governo federale vuole costruire la più grande prigione del paese (1.200 posti), sempre che riesca a vincere la resistenza del comitato di quartiere, degli ambientalisti patatistes e del collettivo anticarcere La Cavale.

Ci sono poi tutte quelle persone straniere o di origine straniera offese dal governo federale, in particolare dal ministro per le questioni d’asilo e immigrazione Theo Francken (del partito nazionalista fiammingo N-Va), che dopo aver messo in dubbio il “valore aggiunto economico della diaspora marocchina, congolese o algerina” ha escogitato la seguente soluzione: far pagare la richiesta di permesso di soggiorno in Belgio. Il 18 dicembre, giornata internazionale dei migranti, si terrà unaprotesta a place Poelaert, davanti al palazzo di giustizia di Bruxelles. Saranno presenti anche vari collettivi di sans-papiers, a cui Francken per ora ha promesso solo più posti nei centri di identificazione ed espulsione.

Ci sono infine le proteste contro l’austerità. I tagli alla spesa pubblica annunciati dal governo guidato dal liberale Charles Michel – undici miliardi in cinque anni – hanno ispirato ai sindacati una risposta insolitamente compatta: una prima manifestazione nazionale il 6 novembre a Bruxelles, tre grèves tournantes (scioperi a turno in diverse province) e infine lo sciopero nazionale di ventiquattr’ore di ieri. I sindacati si dicono pronti a riprendere le azioni a gennaio se il governo non dovesse accettare di aprire il dialogo.

Intanto il prossimo Consiglio europeo, in programma giovedì e venerdì a Bruxelles, si annuncia animato: l’Alleanza D19-20, che riunisce cittadini, associazioni e sindacati, propone un “accerchiamento pacifico” il 19 dicembre contro le politiche di austerità e i trattati di libero scambio, in particolare il Ttip (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti).
Queste notizie – non esaurienti – non sono date in ordine d’importanza. Tutte nascono dal rifiuto di decisioni e politiche percepite come contrarie all’interesse collettivo. Politiche che riducono la città a un cantiere perennemente a disposizione dei costruttori, le persone a un pezzo di carta (passaporto o permesso di soggiorno che sia), l’economia e il lavoro a numeri da sommare e sottrarre.

Nel 2013 Rebecca Solnit intitolava un suo articolo “Too soon to tell” (uscito su Internazionale con il titolo “Troppo presto per non sperare”). È il sentimento che sembra scaldare questo inverno brussellese.

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