30 marzo 2016 12:51

È cominciata l’apertura degli archivi vaticani relativi agli anni delle dittature latinoamericane. Un fatto unico sotto molti aspetti, in primo luogo per le sue implicazioni politiche e per i contrasti che si vissero all’interno della stessa chiesa. Ma la sua eccezionale importanza sta innanzitutto nella qualità del materiale conservato Oltretevere, e quindi nel contributo che ne potrà venire sia per la conoscenza degli eventi sia in merito alla sorte di tanti scomparsi di cui non si è saputo più nulla.

Il periodo chiave di quest’opera di declassificazione di documenti riservati riguarda grosso modo l’arco di tempo che va dal 1970 ai primi anni ottanta. In quel decennio molti amici e parenti di detenuti, di desaparecidos, di vittime di omicidi si rivolsero alla chiesa e al Vaticano per avere aiuto o notizie. Non solo: molto articolato fu anche il ruolo di vescovi e sacerdoti.

A settori delle gerarchie collusi con i vari regimi militari e favorevoli all’azione repressiva si alternavano personalità che si batterono con coraggio contro l’azione punitiva e violenta dei militari: si pensi – per esempio – al cardinale Raúl Silva Henríquez, arcivescovo di Santiago del Cile (celebre fu la sua Vicaria de la solidaridad che forniva aiuto legale e medico alle vittime della dittatura).

L’apertura degli archivi della Santa Sede riguarda intanto due paesi, l’Uruguay e l’Argentina (ben presto però ne potrebbero seguire altri), dove la presa del potere da parte dei militari fu particolarmente efferata. La scelta naturalmente acquista maggior peso per l’origine argentina dell’attuale pontefice e rappresenta il mantenimento di una promessa che Jorge Mario Bergoglio aveva fatto alle abuelas de plaza de Mayo (le nonne di plaza de Mayo).

In questo caso il primo obiettivo è quello di verificare se tra quei documenti ce ne sia almeno una parte che permetta di identificare qualcuno dei figli sottratti ai desaparecidos (o nati durante la prigionia) e poi adottati illegalmente dai militari o dai loro complici. Si tratta di uno dei capitoli più dolorosi e drammatici tra quelli inerenti la stagione sanguinosa delle giunte militari argentine (1976-1983).

In Argentina – come in gran parte dei paesi latinoamericani – la chiesa si divise di fronte alla dittatura

Nei giorni scorsi il papa ha incontrato – e non è la prima volta – alcuni familiari e amici di desaparecidos argentini, e d’altro canto il suo impegno diretto nella vicenda ha messo in movimento anche l’episcopato argentino che ha stabilito già da tempo una linea di collaborazione con le abuelas. Alcuni preti e organizzazioni cattoliche erano infatti a conoscenza di molti casi di adozioni illegali e in qualche modo, secondo le ricostruzioni e le testimonianze, le agevolarono o le coprirono.

Nel caso dell’Argentina del resto – come in gran parte dei paesi latinoamericani – la chiesa si divise di fronte alla dittatura. Una parte rilevante della gerarchia si schierò con i militari e ben presto ebbe tutti gli elementi per valutare la portata dell’attività repressiva; altri vescovi – e più diffusamente ambienti missionari o del clero di base – si opposero invece ai militari e pagarono con il sangue la propria scelta.

È stato scritto poi di una terza componente, quella cui appartiene Bergoglio, all’epoca dei fatti provinciale dei gesuiti, che operò nell’ombra per salvare vite umane (si veda La lista di Bergoglio, di Nello Scavo). Di quest’azione umanitaria ha dato atto all’attuale pontefice il premio Nobel per la pace Adolfo Maria Pérez Esquivel, pure torturato dai militari argentini.

Ancora da sottolineare il ruolo della diplomazia vaticana, accusata di aver intrattenuto rapporti fin troppo stretti con le giunte e che tuttavia – non senza ambiguità e zone d’ombra – in vari casi operò per aiutare o mettere in salvo quanti per varie ragioni erano finiti nelle mani degli aguzzini. Vasta dunque e diversificata può essere la documentazione in possesso del Vaticano.

Ma al di là delle polemiche e degli strascichi di una vicenda che ha lasciato ferite profonde nella società e una scia continua di recriminazioni dietro di sé, vanno messi in luce alcuni dati di fatto significativi.

Anche Obama apre gli archivi

In primo luogo va rilevato come, una volta eletto papa, Bergoglio abbia già fornito una documentazione importante, conservata – o meglio sepolta – in Vaticano, utile a fare chiarezza sul caso dell’omicidio di monsignor Enrique Angelelli, vescovo oppositore dei militari, simbolo di una chiesa che non ha ceduto alla dittatura, morto ufficialmente in un incidente stradale ma in realtà, come provato adesso anche sotto il profilo processuale, ucciso dai sicari della giunta. Documenti decisivi sia per fare giustizia sia per aprire la causa di beatificazione di Angelelli.

Da rilevare, poi, che l’apertura degli archivi decisa dalla Santa Sede arriva in contemporanea con l’annuncio fatto da Barack Obama in merito alla declassificazione della documentazione riservata di tipo militare e ancora rimasta segreta, relativa al golpe e alla dittatura argentina e conservata negli Stati Uniti. Ulteriore conferma di come su molti temi Francesco e il capo della Casa Bianca abbiamo compiuto scelte condivise e seguito un percorso comune.

A restituire il senso dell’operazione compiuta in Vaticano, infine, è lo stesso comunicato con il quale padre Federico Lombardi ha dato notizia sugli archivi lo scorso 23 marzo. Se da una parte spiegava come fosse necessario un lavoro di qualche mese per portare a termine la catalogazione delle carte, alla fine precisava: “Fin d’ora si cerca tuttavia di rispondere a domande specifiche per questioni particolari di carattere giudiziario (rogatorie) o umanitario”.

L’obiettivo principale è ottenere un aiuto nel ricostruire la sorte degli scomparsi e dei loro figli

Insomma dietro richiesta circostanziata, è possibile un accesso immediato alla documentazione. E d’altro canto i familiari dei desaparecidos avevano chiesto alla Santa Sede un passo in questo senso non con l’obiettivo di riaprire il capitolo delle colpe e delle responsabilità, ma soprattutto per ottenere un aiuto nel ricostruire la sorte degli scomparsi e dei loro figli. Angela Boitano, 84 anni, presidente dei Familiari di detenuti o desaparecidos per ragioni politiche, appresa la notizia dell’apertura degli archivi vaticani ha commentato: “Quegli archivi sono molto importanti, tanto quanto quelli conservati dalle forze armate argentine, e spero che presto avremo novità”.

Un’affermazione impegnativa quella di Angela “Lita” Boitano, che va compresa alla luce di quanto ella stessa affermò in un’intervista all’agenzia Askanews dopo aver incontrato papa Francesco circa un anno fa e aver ricevuto la rassicurazione che gli archivi sarebbero stati aperti.

Secondo Boitano in Vaticano si trova un elenco importante e forse unico dei desaparecidos argentini. “Ho vissuto a Roma dal 1979 al 1983”, ha spiegato nell’intervista. “Avevo scritto al Vaticano informandoli sui miei figli, ma non avevo avuto risposta. Appena arrivata sono andata dove sapevo di dover andare, al pontificio consiglio Giustizia e pace, a Trastevere. Mi chiedono chi sono, gli spiego che mi chiamo Angela Boitano e sono madre di due desaparecidos. Il funzionario è andato a prendere una scheda, che ho visto, e c’era scritto il mio nome, e poi i seguenti dati: madre di Michelangelo Boitano, sparito il 29 maggio 1976, e di Adriana Silvia Boitano, sparita il 24 aprile 1977. Avevano segnato e archiviato tutto. Non posso dire che ci siano altre informazioni, per esempio i campi di concentramento dove furono portati e ammazzati, ma sono sicura che l’elenco dei desaparecidos più completo sia quello del Vaticano”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it