05 febbraio 2016 16:30

Alla vigilia del voto per le primarie milanesi del Pd, il tempo dei confronti diretti è ormai terminato. Il dibattito dei quattro candidati a Otto e mezzo il 3 febbraio scorso è stato all’insegna di un riconoscimento del fair-play. Il messaggio è evidente: chiunque vinca, siamo uniti e collaboriamo per sconfiggere il centrodestra alle elezioni di giugno.

In realtà, la sfida comunale non appare affatto impervia — di certo non come cinque anni fa, quando Pisapia affrontò Letizia Moratti. Dalla parte opposta regna il caos: nessun nome certo, i pochi di cui si parla senza radicamento politico o alleanze significative, mentre nelle gallerie della metro cittadina spicca solo la delirante campagna di Corrado Passera. Quanto al Movimento cinque stelle, lo stesso Grillo si è detto scettico delle possibilità nel suo recente spettacolo al Linear Ciak.

Allora perché queste primarie, il cui percorso finora è apparso abbastanza sciapo, sono così rilevanti per Milano e per l’Italia?

Manager tecnici e società civile

Innanzitutto facciamo il punto. La situazione può essere mappata facilmente lungo l’asse degli ultimi sondaggi.

Giuseppe Sala, commissario unico di Expo, resta il favorito – e, insieme, l’outsider politico delle elezioni. Già direttore generale del comune al tempo di Letizia Moratti, ex amministratore delegato di Pirelli, sia per curriculum sia per impostazione risulta difficile ascriverlo a un mondo pure molto “liquido” come quello del centrosinistra italiano (in aggiunta, sono interessanti le sue posizioni su Comunione e liberazione). Fino a una decina di giorni fa era dato come vincitore senza storia: il che la dice lunga sull’oblio che pervade la parte mancina del Pd milanese.

Eppure Francesca Balzani – assessora al bilancio di Milano dal 2013 e vicesindaca dal luglio scorso – ha visto lievitare le sue possibilità dopo avere ottenuto di recente l’appoggio ufficiale di Pisapia. Ciò le ha consentito un duplice scatto in avanti: l’idea (difficilmente sostenibile) di rendere gratuiti i mezzi pubblici di superficie entro cinque anni, e una mano tesa a Pierfrancesco Majorino per ricostruire un’unità di centrosinistra reale. Fino a nominarlo ufficiosamente vicesindaco, in caso di vittoria.

Dal canto suo, Majorino si è sottratto a questa stretta, ribadendo che è stato lui il primo a candidarsi; e rilanciando con un programma che pone come priorità la questione degli alloggi popolari, un reddito minimo comunale e un piano straordinario per gli asili nido. In coerenza con la sua attività di assessore alle politiche sociali fin dal 2011.

Infine ecco Antonio Iannetta, direttore generale dell’Uisp (Unione italiana sport per tutti): non appartenente ad alcuno schieramento, outsider puro e “candidato della società civile”, ma fermo allo 0,2 per cento nei sondaggi e pertanto ragionevolmente fuori dei giochi.

In sintesi: da un lato dello spettro c’è il manager moderato e centrista di un maxievento che ha destato molte perplessità, e dall’altro un candidato indipendente con chance quasi nulle. In mezzo, due persone con più punti in comune che giganteschi disaccordi, ma una differenza: Balzani mi sembra più attenta ad amministrare “tecnicamente” l’eredità di Pisapia, mentre a Majorino interessa un rilancio radicale di tale immaginario (per quanto uno slogan sia una misera riduzione di idee e programmi, contiene comunque un indizio: e quello di Majorino è “come prima, più di prima”).

La borghesia milanese, che a molti ora sembra tanto illuminata, nasconde sempre un volto rapace e menefreghista pronto a risvegliarsi

Radicale. Questa è la parola su cui dovremmo soffermarci senza paura. Il lavoro svolto negli ultimi cinque anni è stato importantissimo e ha dato prova — pur con i suoi limiti e difetti — che Milano è in grado di accogliere e sostenere dei mutamenti significativi. Penso all’area C, all’ampliamento della rete trasporti, al registro delle unioni civili, all’istituzione del garante dei detenuti, all’intitolazione dei giardini Fausto e Iaio in piazza Durante, al rifiuto del pessimo Piano di governo del territorio approvato dall’amministrazione precedente…

Ma questo capitale sociale è tutt’altro che scontato, e senza delle scelte coraggiose rischia di disperdersi (e la borghesia milanese, che a molti ora sembra tanto illuminata, nasconde sempre un volto rapace e menefreghista pronto a risvegliarsi).

Una sintesi rara

A tal proposito, suona paradossale che proprio Sala abbia detto una cosa giusta al riguardo: “Giuliano Pisapia è l’unico che è riuscito a tenere insieme tutta la sinistra e l’unico che poteva farlo, ricandidandosi. L’ho detto mesi fa. Ma se ora lui mi accusa di non tenere insieme tutta la sinistra, allora gli chiedo: chi la terrebbe insieme? Balzani? Majorino? È veramente difficile”.

Vero. La personalità e l’esperienza di Pisapia hanno saputo creare una sintesi rara. Il punto però non è “tenere insieme tutta la sinistra”: è pensare qualcosa di nuovo per il milione e mezzo di abitanti milanesi, e non solo per le decine di migliaia che andranno a votare domani e domenica.

È qui che forse troviamo una risposta alla domanda iniziale: perché queste primarie sono comunque rilevanti? Forse proprio perché manca un avversario diretto temibile, una sfida capace di eccitare gli animi. Forse perché il rischio è che l’avversario sia generato proprio in seno al centrosinistra: per abitudine, per pigrizia, o per mancanza di visione.

Se c’è una massa che vorrei interrogare a tal proposito, sarebbe dunque proprio l’altra: quella che per un motivo o per l’altro la politica locale non ha saputo (o non ha avuto interesse a) raggiungere. Quella che non cede alla retorica del decoro e della sicurezza, ma nemmeno si interessa alle logiche di partito o agli “endorsement eccellenti”; quella degli stranieri; quella dei più poveri e disinformati; quella per cui conta innanzitutto lo stile morale; e anche quella dei movimenti.

Tutte queste persone non voteranno, e sono tantissime: ma il destino che si decide domani conta anche per loro. Perché domani arriva una sfida a quattro che lascia un po’ scontenti dopo un dibattito che lascia un po’ scontenti: il tutto per determinare il probabile futuro sindaco del laboratorio politico più interessante d’Italia. Come si dice da queste parti: sperèm.

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