12 ottobre 2016 15:41

Gentile bibliopatologo,
mi capita spesso di ricomprare libri per me particolarmente importanti, ma che già possiedo, e non si tratta di nuove edizioni. Almeno, non sempre. Due, tre, fino a quattro copie, che mi convinco regalerò, ma che il più delle volte finiscono sparsi in più camere o case. Neanche a dire che, con il pretesto del riacquisto, li rileggo. Il godimento è proprio il possesso plurimo. E così non è infrequente nella mia vita ritrovarmi una copia di Essere e tempo in bagno, nella vecchia traduzione di Pietro Chiodi, con il segnalibro sul paragrafo che parla della “deiezione”; e una copia con la nuova traduzione di Marini, che parla invece di “scadimento”, sotto l’albero di Natale come regalo a mio nipote di otto anni. Mi chiedevo se, come accade spesso in psichiatria, è un disturbo che ne nasconde altri.
—Tommaso

Caro Tommaso,
magari avessi dei complessi, direbbe Troisi: tu hai un’orchestra sinfonica in testa! Un disturbo che ne nasconde altri? Dunque, ricapitoliamo. Regali libri di Heidegger di seicento pagine ai bambini, che equivale grosso modo a piantarsi con un carretto all’uscita della scuola e offrire le famigerate figurine con la colla all’lsd di una vecchia leggenda metropolitana. Poi tieni Essere e tempo accanto al gabinetto, proprio alla pagina della metafora escretoria, forse una via inconscia per vendicarti di essere stato a tua volta gettato come tutti nella grande latrina mundi. Hai sintomi di questa gravità, dico, e ti preoccupi perché ti capita di ricomprare i libri?

Siccome capita anche a me, il meglio che posso offrirti è un tentativo di autoanalisi, che mi costringerà a calarmi negli strati atavici della mente, a visitare il mondo sotterraneo degli istinti ereditari, a ridiscendere i rami intricati dell’evoluzione e a persuadermi che in fin dei conti sì, c’è qualcosa di vero nell’idea che l’ontogenesi ricapitola la filogenesi. Se compro più copie di uno stesso libro, infatti, è per due ragioni evolutive – una meno razionale dell’altra.

La prima riporta al neolitico, all’epoca dell’invenzione dell’agricoltura: è l’impulso a immagazzinare, a fare scorte per l’inverno. Vivendo, come molti bibliomani, nel terrore di perdere in tutto o in parte la mia biblioteca – per via di crolli, incendi, allagamenti, razzìe e saccheggi dei barbari (per la cronaca: hanno riconquistato Roma) – credo che avere una copia in più di un libro raro non possa far male. Qualche anno fa trovai su eBay uno stock di una decina di copie dell’Amleto di Jules Laforgue tradotto da Ennio Flaiano, nell’edizione Scheiwiller del 1987. Un po’ le comprai, un po’ le feci comprare ad amici fidati, un po’ le regalai. Una quantità che dovrebbe mettere il mio raccolto al riparo dalle locuste, dalla pioggia di fuoco e di ghiaccio e dalle altre otto piaghe d’Egitto. Tu mi obietterai: ma questi magazzini esistono già, si chiamano biblioteche e ti salvano da un pericolo ben più reale, il collasso del tuo spazio abitativo. E io te l’avevo detto che non era una cosa razionale.

Ancora più insensata è la seconda ragione di questo accumulo di doppioni, che viene dritta dritta dal Paleolitico dei cacciatori e dei raccoglitori. Non è la gioia del possesso plurimo, come dici tu, semmai è la gioia dell’acquisto plurimo. Ti faccio un esempio: ci sono libri che ho inseguito affannosamente per anni, come quello di Emmanuel Carrère su Werner Herzog, pubblicato nel 1982, quando Carrère era un collaboratore poco più che ventenne di Positif e Télérama. Ebbene, il senso di tripudio che provai quando, nei primi anni Novanta, lo trovai per caso in una bancarella parigina, è qualcosa che ancora oggi non saprei descrivere.

Così, ogni volta che mi imbatto nello stesso libro – e sono molti, quelli che ho rincorso – sento un corno di caccia chi mi incita, una voce che mi sprona: compralo di nuovo! Ripeti il gesto trionfante di quando, dopo averlo rincorso per chilometri, riuscisti finalmente ad abbattere il cinghiale con la tua lancia! Mi obietterai, di nuovo: ma il libro su Herzog ormai lo avevi letto, e non si può mangiare due volte lo stesso cinghiale. E io te l’avevo detto che non era una cosa razionale.

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