04 gennaio 2017 19:00

Caro dottore,
intorno ai quindici anni mi era presa la mania di tagliare le copertine di determinati libri, e farne di nuove io stesso. Tipo ready-made. Spesso si trattava di libri di filosofia (Nietzsche) e di specifiche edizioni (Newton Compton). Ma ci sono anche altri casi in cui gli “interventi” erano addirittura dentro al libro. Strappavo tutto, e pensavo poi a una sorta di collage da sostituire – diciamo un collage a tema (per lo Zarathustra di Nietzsche ricordo d’aver fotocopiato l’immagine del crocifisso di Cimabue e poi di averlo usato, capovolto, insieme ad altri espedienti che ora non ricordo). Cose turpi, lo so. Anche se in fondo in fondo me la rido. Come se fosse parodia dell’arte decorativa. Cosa ne pensa?

— Gianluca P., Milano

Caro Gianluca,
parli di parodia dell’arte decorativa, e mi pare una formula bella quanto fallace. Alle tante ragioni che da sempre hanno spinto gli uomini a decorare il proprio ambiente, la rivoluzione industriale ne aggiunse una nuova: il bisogno di nascondere la nudità anonima e funzionale dell’oggetto prodotto in serie, per una forma di pudicizia estetica che è forse l’essenza più profonda del kitsch. Ne sono nate cose adorabili o detestabili secondo i gusti, da William Morris e il movimento Arts and crafts a certe abitudini più ordinarie, come quella ormai sempre più rara – che da bambino potei ancora testimoniare in casa delle mie nonne – di mettere in cima al televisore un coprimobile di cotone ricamato a mano, sul quale disporre fotografie di famiglia in cornici d’argento e cianfrusaglie varie. Crearsi un rifugio kitsch per estromettere le brutture del mondo di fuori: una forma di “falsa coscienza” che oggi, paradossalmente, si perpetua in tanti loft di bourgeois-bohémiens di simpatie marxiste, i veri eredi del salotto vittoriano.

Ecco, se tu avessi creato copertine in stile finto antico per i tuoi volumetti Newton Compton avrei accettato senz’altro la tua definizione di “parodia dell’arte decorativa” e ti avrei consegnato ai gironi infernali del kitsch, dove bruciano per l’eternità, gomito a gomito, quelli che ritoccavano i dagherrotipi per farli sembrare vecchi ritratti e quelli che applicano filtri alle foto scattate con il telefono per farle sembrare vecchie Polaroid. Le tue decorazioni, tuttavia, sembrano nascere da un bisogno diverso. Ne ha parlato Giuseppe Prezzolini nel 1956 in Saper leggere, nel capitolo che riguarda la creazione dell’ambiente più propizio al lavoro intellettuale. È una grande rassegna di espedienti per chi sia condannato alla bohème senza i privilegi del bourgeois. Prezzolini suggerisce, per esempio, di usare cassette di legno sovrapposte per farne delle scaffalature:

Un tocco personale in queste cose non sta male. Non sarà male verniciarle, ma non è strettamente necessario. Ogni intervento personale e manuale nei servizi della cultura la rende più vicina e ci fa amare di più le sue attività. Certamente c’è una differenza spirituale fra uno studio comprato bello e fatto, e uno studio di cui avete comprato i mobili di qui e di là, seguendo una vostra ispirazione, oppure di cui avete fabbricato o messo insieme il mobilio.

La stessa differenza spirituale corre tra un libro bell’e fatto dall’editore – che a volte, anzi spessissimo, sceglie un abito sbagliato per le opere che pubblica – e il libro di cui hai immaginato tu stesso la copertina. Eugenio Montale diceva di aver scritto le prime tre raccolte poetiche in frac, le successive in pigiama. Perché dare a tutte la stessa veste editoriale? Recupera dunque la tua vecchia abitudine adolescenziale, purché si tratti non già di imporre vezzosi ornamenti a un libro prodotto in serie, ma di guadagnare con esso un’intimità più grande, e di vestirlo in modo che il suo aspetto corrisponda un po’ di più all’immagine che, come lettore, te ne sei fatto. Non diversamente, le bambine amano far da sé i vestitini per le loro bambole.

Quanto al collage dello Zarathustra con il crocifisso di Cimabue capovolto, non mi pronuncio ancora: sarà la storia a decidere se catalogarlo come il geniale ready-made di un artista visionario o come un reperto da aggiungere alla cartella clinica di un istituto psichiatrico. O tutte e due le cose insieme – come le ultime opere di Nietzsche, peraltro.

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