12 dicembre 2019 13:19

Neppure il divieto, per quattro anni, di competere per la bandiera nazionale e di ospitare importanti eventi di atletica può spingere la Russa – più precisamente i suoi dirigenti politici e funzionari sportivi – ad ammettere di aver fatto qualcosa di male. È un avvertimento non solo per gli atleti, ma per tutti i russi: sono ostaggi dei pasticci, della cocciutaggine e della paranoia dei loro dirigenti.

Il divieto è stato imposto il 9 dicembre dal comitato esecutivo dell’Agenzia antidoping mondiale (Wada). La decisione era attesa, dopo che la Wada aveva scoperto quest’anno che la banca dati di un laboratorio antidoping di Mosca, che le era stata consegnata per un’ispezione, era stata alterata modificando i risultati positivi di alcuni test. La Wada ha confrontato i dati con una versione precedente, consegnata da un informatore, forse l’ex direttore del laboratorio, Grigorij Rodčenkov che vive negli Stati Uniti sottoposto a un programma di protezione dei testimoni.

Da quando sono state scoperte le alterazioni, i dirigenti sportivi russi sostengono che sia stato lo stesso Rodčenkov a modificare i dati, perché dopo aver lasciato la Russia nel 2015 ha mantenuto per qualche tempo la capacità di amministrare la banca dati. Ma neppure l’attuale direttore dell’agenzia antidoping russa, Yuri Ganus, ci crede: la Wada gli ha mostrato che alcune alterazioni risalgono a quest’anno.

In altri termini, tutte le sanzioni imposte allo sport russo dal 2017 non sono servite a convincere quanti hanno manomesso la base dati che il tempo dell’inganno era finito. Ci sono altri segni del fatto che altre federazioni e allenatori dello sport russo non hanno recepito il messaggio: alla fine di novembre, l’Unità per l’integrità dell’atletica, un ente antidoping formato dall’Associazione internazionale delle federazioni d’atletica, ha accusato la Russia di aver ostacolato le indagini relative al rifiuto di un saltatore in alto di sottoporsi agli esami antidoping.

La Russia potrebbe dover rinunciare a ospitare tre campionati mondiali: volley, hockey sul ghiaccio e sport acquatici

La squalifica della Wada è più dura delle sanzioni imposte in precedenza agli atleti e ai dirigenti sportivi russi dalla stessa agenzia, dalle federazioni internazionali e dal Comitato olimpico internazionale. I russi hanno già dovuto competere sotto una bandiera neutrale alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang, in Corea del Sud, nel 2018, e in altri eventi importanti. Durante i campionati mondiali di atletica del 2017, agli atleti russi è stato persino vietato di dipingere le proprie unghie con i colori della bandiera nazionale. Ma adesso a tutte le federazioni sportive è stato intimato di vietare la bandiera e l’inno nazionale russi e di trasferire altrove gli eventi assegnati alla Russia, a meno che la cosa sia “legalmente o praticamente impossibile”.

Questo significa che la Russia potrebbe rinunciare a tre campionati mondiali che avrebbe dovuto ospitare – quelli di pallavolo nel 2022, quelli di hockey su ghiaccio nel 2023 e quelli di sport acquatici nel 2025. La squadra nazionale russa sarà costretta a indossare una qualche sorta di uniforme neutrale ai Mondiali di calcio in Qatar del 2022. Alla Russia sarà invece consentito di ospitare la quota di partite degli Europei di calcio del 2020 a lei affidate, perché si tratta di una competizione regionale e non mondiale.

Ma anche per essere autorizzati a competere “per conto proprio” invece che per il proprio paese, gli atleti russi avranno bisogno di una fedina assolutamente pulita in fatto di doping, e sarà necessario che il loro fascicolo nella base dati del famigerato laboratorio di Mosca non sia stato alterato. I test a loro riservati saranno particolarmente rigorosi.

Stringere i denti
E anche per gli atleti russi puliti i prossimi quattro anni si annunciano foschi, e non solo perché non potranno sventolare la loro bandiera. Difficilmente arriveranno accordi di sponsorizzazione dall’estero. Per poterli attrarre alcuni atleti saranno tentati di cambiare la propria nazionalità. Altri stringeranno i denti e andranno avanti, come la campionessa mondiale del salto in alto Marija Kučina-Lasickene.

“Quanto accaduto oggi è una sciagura”, ha scritto su Instagram. “Non ho mai voluto cambiare nazionalità, e non lo farò ora. Continuerò a dimostrare che gli atleti russi sono vivi, anche con statuto neutrale. L’ho già fatto negli scorsi anni. Quel che m’infastidisce è che gli atleti sono soli nella loro lotta, e che i dirigenti del nostro sport ci difendono solo a parole”.

Dopo la decisione della Wada le parole sono circolate in libertà. Pjotr Tolstoj, vicepresidente del parlamento russo, ha dichiarato che la Russia non avrebbe dovuto accettare di competere sotto una bandiera neutrale a Pyeongchang. “La decisione di oggi è solo la continuazione di una tendenza a escludere gli atleti russi dallo sport internazionale”, ha dichiarato.

Alcuni personaggi e funzionari dello sport russo hanno sollecitato la creazione di eventi sportivi alternativi, come per esempio dei giochi Brics per atleti di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

Ma né l’indignazione per la presunta ostilità occidentale né la frenetica ricerca di alternative alle competizione riconosciute mondialmente potrà fare niente per persone come Lasickene, che ha dimostrato a più riprese di non usare sostanze proibite, o per l’ispirata nazionale di calcio russa, che aveva sorpreso il paese per il suo spirito guerriero durante la coppa del mondo del 2018. L’unico aiuto pratico che questi atleti possono aspettarsi dai funzionari dello sport russo sono gli appelli al tribunale arbitrale dello sport in Svizzera: un compito che Yuri Ganus ritiene destinato al fallimento.

Di fatto, rifiutandosi di confessare di aver manomesso la base dati e di aver fornito risultati e test di laboratorio contaminati alla Wada, i funzionari sportivi russi, e con essi il Cremlino, hanno deciso di accettare le probabili sanzioni. È un grosso prezzo da pagare per il trionfo di breve durata ottenuto da Putin con le olimpiadi invernali di Soči del 2014, quella stravaganza da cinquanta miliardi di dollari nella quale la Russia ha vinto la maggior parte delle medaglie, e durante la quale ha avuto inizio lo scandalo del doping.

Il Cremlino sta praticando lo stesso attendismo a proposito delle sanzioni ricevute per il suo coinvolgimento armato in Ucraina. Preferisce che le aziende subiscano limitazioni economiche e commerciali piuttosto che ammettere di essere mai stato dalla parte del torto.

Ma in un certo senso lo scandalo sportivo è ancora peggiore. Putin e i suoi sottoposti nella gerarchia sportiva hanno sostanzialmente deciso di disinteressarsi del danno alla carriera sportiva subìto da persone che sono il vanto e la gloria della Russia perché, dal loro punto di vista, ammettere la propria colpa in questi evidenti intrallazzi sarebbe un danno peggiore per la reputazione del paese.

Anche i russi privi di ambizioni olimpiche non devono farsi illusioni: se le loro vite, carriere e speranze entreranno mai in conflitto con la necessità di proteggere lo stato dal minimo inconveniente, anche loro saranno sacrificati in un batter d’occhio.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Bloomberg View.

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