15 maggio 2015 17:13

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Cos’è. È un film svedese, coprodotto tra Svezia, Norvegia e Francia, scritto e diretto da Ruben Östlund. I protagonisti sono Johannes Bah Kuhnke e Lisa Loven Kongsli, marito e moglie sulla quarantina, due bambini al seguito, che vanno a fare una settimana bianca sulle alpi francesi. Il primo giorno, seduti al tavolo sulla terrazza del ristorante sulle piste, assistono a una slavina controllata, di quelle fatte da chi gestisce gli impianti per evitare valanghe vere. Nella concitazione del momento, sembra che la valanga stia per raggiungere i tavoli. Il marito Tomas è preso dal panico e scappa senza preoccuparsi di moglie e figli. Rientrato il falso allarme, la famiglia riprende la vacanza. Ma la consapevolezza del gesto istintivo di Tomas incrina la fiducia che Ebba nutre nei suoi confronti, e nel gigantesco chalet di legno che è l’hotel in cui pernotta la famiglia si consuma una crisi familiare profonda.

Com’è. Fotografato con il nitore dei documentari girati in digitale, diretto con tutta la discrezione che prevede una storia delicata e fatta di sfumature (non ci sono quasi movimenti di macchina), Forza maggiore è un raro caso di film dedicato a una crisi familiare pura e semplice, che non ha niente a che vedere con trame sentimentali, tradimenti, grandi passioni o dolori lancinanti. Non è un caso che sia un film che viene dal paese che ha quasi solo classe media, dove avere una casa, due figli, un labrador e una Volvo è quasi una condizione standard. I dettagli della stazione sciistica che intervallano il film confermano questo senso di condizione prevista, dove la famiglia e l’amore coniugale sembrano solo un altro pezzo di un contesto che la società ha pensato per i protagonisti senza interpellarli. La recitazione è notevole, il film è scritto e diretto con grande attenzione e vive di una normalità molto efficace.

Perché vederlo. Forza maggiore è un film molto insolito nell’impianto. La trama prende spunto da un falso allarme che produce risposte vere, una simulazione di crisi che ne genera una reale. Si respira la tensione che c’è nelle relazioni quando qualcosa di profondo non va e non se ne può parlare, o si può evitare di parlarne, ma l’argomento è presente, tangibile. Per quanto sembri un film sull’amore, si rivela piuttosto un film sulla sicurezza, o meglio sulla necessità di convivere con l’insicurezza. Almeno io l’ho vissuto così. Non è un film a tesi né un film esplicito, e non è nemmeno chiaro se sia ottimista, pessimista, agnostico. C’è anzi grande equilibrio tra le posizioni, qualsiasi sia il tema che tratta. Anche la rappresentazione di uomini e donne, delle loro esigenze e dei loro punti di vista nel contesto familiare, è sempre lontana da luoghi comuni e facilonerie. Non è un film facilissimo, insomma, ma è un film semplice.

Perché non vederlo. Ovviamente se avete voglia di azione questo non è un film per voi. Mi dicono anche che il doppiaggio italiano, alle prese con i non detti e le sfumature di tono, faccia un po’ fatica. Ma io l’ho visto in lingua originale, quindi non posso esprimermi. L’avvertenza seria però è un’altra. Se siete magari un po’ in crisi. Se è un periodo un po’ no. Se preferite stare sereni e non pensarci. Se state con una persona che ama parlare di certe cose e voi invece no, o viceversa siete di quelli che ci sguazzano al contrario del partner, magari evitate di andare a vedere questo film, soprattutto in coppia. Perché può essere che ne usciate molto fortificati, ma non è proprio garantito.

Una battuta. Prova ad abbracciarmi.

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