11 maggio 2016 13:26

Cos’è. Where to invade next è il nuovo film di Michael Moore, il polemista di 62 anni di Flint, Michigan, premio Oscar nel 2003 con Bowling a Columbine e Palma d’oro a Cannes due anni dopo con Fahrenheit 9/11. Questa volta Moore visita diversi paesi europei (con una piccola tappa in Tunisia) con l’idea di “invaderli” e rubare le loro migliori idee da adottare negli Stati Uniti.

Con il pretesto giocoso di tradurre in ambito civile l’impeto militare statunitense, nel corso delle due ore del film Moore invade e saccheggia Italia (umanità del lavoro, ferie e maternità pagate), Francia (mense scolastiche ed educazione sessuale), Finlandia (scuola pubblica senza test standard di valutazione), Slovenia (educazione gratuita anche per studenti stranieri), Germania (qualità della vita e autocoscienza storica), Portogallo (depenalizzazione del consumo di droga), Norvegia (sistema penale che recupera e non punisce), Tunisia (conquista dei diritti delle donne), Islanda (parità assoluta di genere e gestione democratica della crisi finanziaria), per finire il suo viaggio lungo i resti del muro di Berlino.

Where to invade next

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Com’è. A differenza dei film americani di Moore, che documentano il problema e poi cercano una soluzione a volte rocambolesca, Where to invade next ribalta gli equilibri. Moore non è quello che chiede conto ai colpevoli, ma mostra una condizione virtuosa e positiva quasi per tutto il tempo, e assume la sua solita aria da cinegiornale solo a tratti, durante i confronti con la realtà statunitense.

Il tono della parte europea, cioè della gran parte del film, è esotico, divertito, ammirato, quasi turistico, da speciale leggero per la tv. Questo rende il film più curioso e lieve, anche se Dean Martin canta Nel blu dipinto di blu mentre si parla dell’edonismo e delle doti amatorie degli italiani. Al di là degli stereotipi, il film è poco strutturato: ha una scansione da inventario di situazioni in fila, più che da racconto unitario con uno svolgimento. A sequenze in cui Moore visita i luoghi e interagisce con le persone, si alternano snodi con voce fuori campo e montaggi con immagini di repertorio, al solito molto efficaci. Il film è lungo ma non pesa.

Perché vederlo. Il numero e la natura degli intervistati chiama Moore meno in causa del solito, e comunque con un ruolo meno di contrasto. La telecamera non è usata come arma per estorcere verità scomode, quindi non c’è quel populismo dell’imboscata di altri suoi film. Non c’è nemmeno grande approfondimento sui temi, nel senso che vengono esposte le leggi e le usanze con ammirazione e meraviglia, con una retorica automaticamente un po’ celebrativa, ma senza mostrare punti di vista alternativi.

Eppure il cuore del documentario sono i contenuti, le scelte editoriali, la qualità delle interviste e della loro scansione narrativa, e da questo punto di vista il film è generoso. Se lo si vede come una puntata di Report girata con mezzi enormi e un tono sopra le righe, Where to invade next è un film che racconta tante cose interessanti con chiarezza. Le scene nelle carceri norvegesi e il dialogo con il padre di una delle vittime di Anders Breivik non si dimenticano facilmente. Questa campionatura di usi e costumi virtuosi europei è interessante anche per gli europei, ed è rassicurante: la somma delle eccellenze di tutti fa un certo effetto.

Perché non vederlo. Per prendersi gioco della destra nazionalista statunitense bisogna trovare uno stile retorico che non sia, per ribaltamento sarcastico o meno, a tratti simile a quello del bersaglio. Invece ci sono momenti in cui Michael Moore sembra la copia speculare di Fox News, perché è altrettanto perentorio e liturgico.
Per quanto riguarda il Moore protagonista dei suoi film, se siete tra chi trova fastidiosi i suoi modi beffardi e determinati, probabilmente non vi piacerà nemmeno questa volta, anche se è più contenuto. Infine la struttura del film è esile.

Una battuta. L’astinenza per noi non è un metodo contraccettivo. Ci sono troppi rischi. (Un’insegnante francese).

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