08 dicembre 2016 14:08

Il film di Oliver Stone sull’informatore che ha portato alla luce le pratiche di intercettazioni a tappeto del governo statunitense è meno gonfio e retorico di quello che ci si potrebbe aspettare dal regista di Jfk. Questo ne fa un film lineare e non così emozionante, ma gli regala un’onestà lodevole.

Cos’è. È il nuovo film di Oliver Stone. Racconta la storia di Edward Snowden, il tecnico informatico che ha svelato alla stampa la pratica quotidiana di intercettazione massiccia di persone e istituzioni operata dal governo degli Stati Uniti tramite Cia e Nsa. La struttura del racconto è bipartita. Da una parte il film racconta la carriera di Edward (Joseph Gordon-Levitt) da recluta fino a tecnico informatico di altissimo livello. Dall’altra descrive i giorni in cui, in un hotel di Hong Kong, Snowden consegna le informazioni al giornalista Glen Greenwald (Zachary Quinto), alla documentarista Laura Poitras (Melissa Leo) e al veterano del Guardian Ewen MacAskill (Tom Wilkinson). C’è anche Nicolas Cage, che è uno degli insegnanti della scuola di addestramento della Cia, ma recita per tre minuti scarsi.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Il film è scritto da Kieran Fitzgerald e Oliver Stone sulla base dei libri di Anatoli Kucherena (Time of the octopus) e Luke Harding (Snowden. La vera storia dell’uomo più ricercato del mondo). La fotografia è di Anthony Dod Mantle (The millionaire), il montaggio di Alex Marquez e Lee Percy. La musica è di Craig Armstrong e Adam Peters. Sui titoli di coda va una canzone originale di Peter Gabriel dedicata a Snowden.

Com’è. Il film racconta soprattutto la vita di Snowden prima di decidersi ad agire, e di tanto in tanto torna sui giorni concitati del suo incontro con la stampa a Hong Kong. La parte di Hong Kong è la versione condita e spettacolare di Citizenfour, il documentario del 2014 degli stessi Poitras e Greenwald che ha vinto l’Oscar. Il resto copre la maggior parte del film e ruota soprattutto intorno alla relazione con i superiori, i colleghi, la fidanzata Lindsay Mills (Shailene Woodley).

Il tocco di Oliver Stone è evidente sia nella scrittura sia nella regia, nell’impianto complessivo di un film che ha quella capacità di semplificare e rendere tutto appetibile, perfetto per una storia che altrimenti, con tutti quei computer, avrebbe rischiato il tedio più profondo. Invece qui sono tutti belli, hanno pochi dubbi, agiscono con una convinzione inaffondabile. Inventando molto, Stone avrebbe potuto accrescere il livello di suspense, ma questo è un film realizzato con la collaborazione dello stesso Snowden, non c’era l’intento di andare oltre alla realtà. La scrittura è carica il giusto, mentre struttura e montaggio non hanno a che fare con il funambolismo di Natural born killers o il ritmo di Jfk. Si tratta insomma di un film molto più asciutto e posato di quello che ci si sarebbe potuti aspettare. L’antipatia per la ragion di stato e i suoi tentacoli è suggerita, non sparata in faccia allo spettatore.

Oliver Stone, che aveva messo l’adagio di Barber insieme al rallentatore in Platoon, ha costruito una storia civile sobria

Perché vederlo. Non esiste nessun altro che faccia un cinema civile e allo stesso tempo spettacolare con questo livello di compromesso tra l’onestà delle motivazioni e l’appetibilità del racconto. In passato Stone ha ottenuto questo risultato con molte facilonerie e tanta enfasi. Qui, non sappiamo se per aderenza all’indole del protagonista oppure per una ritrovata lucidità da settantenne, decide di non strafare praticamente mai. Chi ha visto Citizenfour ritroverà tutti gli elementi in una veste diversa, e rispolvererà la consapevolezza di un tema che non va lasciato depositare nei timori generici dei paranoici, ma andrebbe tenuto vivo nella coscienza di tutti. Per questo forse Oliver Stone, quello che aveva messo l’adagio di Barber insieme al rallentatore in Platoon, ha saputo costruire una storia civile tutto sommato sobria, capace di non confondere i fatti con le emozioni. Il cast gira bene, soprattutto Joseph Gordon-Levitt che riproduce in maniera accuratissima quella normalità americana del vero Snowden, lontana dalla rappresentazione falsa di patriota libertario o scellerato nemico della patria che ne è stata fatta. I titoli di coda, un montaggio di immagini dei telegiornali, sono notevoli.

Perché non vederlo. Per Oliver Stone l’arte, quando racconta la storia, deve emozionare tanto e approfondire poco. Questo suo modo di intendere l’impegno civile dell’artista è figlio degli anni ottanta, e ritrovarlo nell’epoca dei gattini condivisi sui social fa un po’ l’effetto di Bono Vox e Susan Sarandon che suonano alla porta con una petizione da firmare. La canzone di Peter Gabriel sui titoli di coda sembra una canzone pop cristiana su padre Pio, e imbarazza un po’. Per finire, tutti i film che parlano di hacker o sicurezza informatica hanno il difetto di dover mostrare monitor, linee di codice e gente che smanetta su una tastiera: non sono gesti molto compatibili con il racconto cinematografico. Perfino un gigante come Michael Mann ha avuto dei problemi di noia a riguardo, figuriamoci Oliver Stone in un film dove non muore nessuno.

Una battuta. Il terrorismo è solo una scusa.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it