10 maggio 2016 11:36

Vi sentite fortunati? Secondo gli psicologi, probabilmente no. E probabilmente pensate di essere arrivati dove siete oggi grazie al vostro impegno e alla vostra forza di volontà. Tutti noi sottovalutiamo il ruolo della fortuna nella nostra vita, e più siamo ricchi meno peso le diamo, come dimostrano varie ricerche. Inoltre, sembra che i più ricchi siano anche più meschini: secondo un brillante studio chi guida automobili di lusso probabilmente taglia la strada agli altri più spesso di chi guida vetture più economiche.

Dunque c’è poco da meravigliarsi se persone del genere non vogliono pagare le tasse e si oppongono alla spesa pubblica: che bisogno c’è di aiutare gli altri se loro non ne hanno bisogno? Il paradossale risultato di questa mentalità è che votano proprio contro quelle politiche che gli hanno permesso di diventare ricchi. In un saggio pubblicato di recente sull’Atlantic, Robert Frank, un economista che studia l’atteggiamento delle persone nei confronti del caso, cita E. B. White: “La fortuna non è una cosa che puoi nominare davanti agli uomini che si sono fatti da soli”.

Sembra che ricordare alle persone quanto sono fortunate le renda più gentili e generose

Tuttavia, considerarlo solo come un problema dei ricchi significa assolvere troppo facilmente il resto di noi. Chiunque viva in un paese altamente sviluppato è già fortunato in partenza, per esempio perché non è nato durante una pestilenza, o nell’attuale Repubblica Centrafricana (dove l’aspettativa di vita è intorno ai 50 anni). Basta riflettere su questo e si capisce perché i buddisti parlano dell’incomparabile fortuna di essere nati umani. Potremmo essere polli di batteria, o insetti che vivono solo un giorno.

Non ci rifiutiamo di prendere atto di questa verità solo perché siamo idioti egocentrici. Come spiega Frank, dipende anche dalla cosiddetta “euristica della disponibilità”, la tendenza che tutti abbiamo ad attribuire più importanza alle cose che ci tornano più facilmente alla mente. Non è difficile ricordare le innumerevoli volte in cui ci siamo impegnati per ottenere un risultato: studiando per un esame, preparandoci per un colloquio di lavoro, passando interminabili ore su un mezzo di trasporto da casa all’ufficio e viceversa.

Mentre è molto più difficile renderci conto di quanto siamo privilegiati, e meno che mai delle “precondizioni negative” del nostro successo, come non essere nati in una zona di guerra o prima che esistessero gli antibiotici, e così via. Non ne siamo quasi mai consapevoli, ma ognuno di noi è la prova concreta di tutte le cose che avrebbero potuto fermarci, ma non lo hanno fatto.

Un barlume di speranza

I filosofi (e a volte anche le persone normali) spesso si chiedono se la nostra fortuna sia sempre la conseguenza della sfortuna di qualcun altro. Come molti altri, io sono qui grazie a Hitler, senza il quale mia nonna non avrebbe mai lasciato la Germania e non avrebbe incontrato mio nonno. Ma se sono contento di essere al mondo – e lo sono – ho veramente il diritto di condannare l’olocausto?

“Sappiamo che sarebbe stato meglio che certi orrori non fossero stati commessi e, di conseguenza, che noi non fossimo nati”, scrive il filosofo Todd May – perciò “le radici della nostra vita affondano in tragedie irreparabili”. Se questo pensiero vi deprime, un barlume di speranza c’è comunque: sembra che ricordare alle persone quanto sono fortunate le renda più gentili e generose. Il trucco, quindi, è non dimenticarci della nostra fortuna. Vi auguro di riuscirci.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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