12 gennaio 2024 12:24

Il rapporto tra calcio e cinema è sempre stato difficile. Probabilmente non è un caso che Fabio Capello per motivare i suoi giocatori, gli facesse vedere Ogni maledetta domenica di Oliver Stone, che parla di football americano. Forse perché di calcio ne abbiamo abbastanza nella vita reale, forse perché è complicato e costoso rendere bene l’atmosfera di uno stadio e azioni di gioco vagamente realistiche e forse perché è impossibile battere la schiacciante concorrenza dei documentari, sono tanti i film che hanno cercato di raccontare il calcio, ma pochi quelli memorabili.

Il primo che viene in mente è Fuga per la vittoria di John Huston, unico a schierare, illustri non protagonisti accanto a Sylvester Stallone e Michael Caine, tre campioni del mondo, Pelé, Osvaldo Ardiles e Bobby Moore, nella formazione di prigionieri di guerra che pareggia contro la nazionale del terzo reich. Curioso che a realizzarlo sia stato uno statunitense, anche se va chiarito che è, in assoluto, uno dei grandi maestri del cinema.

Essendo l’Italia, così si dice, una nazione di commissari tecnici, è comprensibile che il personaggio calcistico più popolare del cinema italiano sia proprio un allenatore, Oronzo Canà incarnato da Lino Banfi in L’allenatore nel pallone (1984) di Sergio Martino e nel suo sequel del 2008.

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A pensarci bene, con l’eccezione di Gli eroi della domenica (1952) di Mario Camerini, in cui Raf Vallone (che era stato calciatore professionista prima di fare l’attore) interpreta il glorioso centravanti di una squadra provinciale che si gioca vita e carriera a San Siro contro il Milan, i migliori film italiani intorno al calcio si tengono a debita distanza dal terreno di gioco.

In Ultimo minuto di Pupi Avati, in cui Ugo Tognazzi interpreta il direttore sportivo di una piccola squadra emiliana che lotta per la salvezza, il campo di gioco s’intravede soltanto. Mentre in Ultrà (1991) di Ricky Tognazzi si entra appena allo stadio e l’erba non si vede neanche per un secondo. Nel suo recente Il campione (2019), Leonardo D’Agostini ci mostra alcune azioni di gioco per raccontare la crescita di un viziato fuoriclasse della Roma (Andrea Carpenzano), ma le cose migliori del film avvengono altrove.

Tornando al mondo del tifo, i film da ricordare sono britannici. Uno drammatico e una commedia. Quello drammatico è Hooligans (2005) di Lexi Alexander, con Elijah Wood e Charlie Hunnam violenti sostenitori del West Ham United. Invece la commedia è, ovviamente, Febbre a 90° (1997) di David Evans, tratto dal romanzo di Nick Hornby, con Colin Firth e Mark Strong come tragicomici tifosi dell’Arsenal.

Mi piacerebbe citare altri titoli (su tutti Sognando Beckham di Gurinder Chadha), ma direi che mi sono già dilungato abbastanza per dire che è uscito Chi segna vince di Taika Waititi, basato su una storia vera, già raccontata dal documentario Next goal wins. La nazionale di calcio delle Samoa Americane dopo la cocente sconfitta per 31 a 0 contro l’Australia viene affidata a un allenatore olandese in disgrazia che dovrà provare a risollevarne le sorti.

Il film arriva nelle sale un po’ in sordina, dopo un lungo e complicato percorso produttivo. Ma Waititi è un regista perfettamente in grado di gestire una classica parabola edificante su una cenerentola sportiva. Il cast è dignitoso, con Michael Fassbender (tifoso del Liverpool) nei panni dell’allenatore, affiancato da Elizabeth Moss e dallo stesso Waititi. Tutto bene insomma. Ma proprio le scene di gioco sono il tallone d’Achille della pellicola.

Questo testo è tratto dalla newsletter Schermi.

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