16 novembre 2023 09:31

Negli Stati Uniti il sostegno pubblico nei confronti di Israele è in forte calo. Nonostante si tratti del paese più vicino allo stato ebraico, è evidente che all’interno dell’amministrazione americana si sia creata una vera e propria fronda contro la politica seguita dopo il 7 ottobre.

Più di 500 alti funzionari di carriera o di nomina politica provenienti da quaranta diverse amministrazioni hanno scritto al presidente Biden chiedendo un cessate il fuoco immediato a Gaza. Un’iniziativa simile è stata intrapresa al dipartimento di stato, invocando una procedura interna nata ai tempi della guerra in Vietnam che permette di manifestare un disaccordo senza incorrere in sanzioni. Una terza proposta ha raccolto più di mille firme nell’ambito dell’agenzia statunitense per gli aiuti internazionali USAid.

Tutti i testi citati, pubblicati dalla stampa grazie alle fughe di notizie, denunciano l’attacco portato da Hamas il 7 ottobre, ma al contempo sottolineano che le conseguenze umanitarie della risposta israeliana sono indifendibili e chiedono un intervento per proteggere la popolazione civile palestinese.

La memoria selettiva di Israele e dell’occidente
Evitando di considerare le radici storiche di quello che succede, si confermano le politiche di occupazione in Palestina

Il segretario di stato Anthony Blinken ha scritto a tutti i dipendenti del suo ministero per manifestargli la propria vicinanza e ricordare di aver personalmente chiesto a Israele di risparmiare i civili, ma resta il fatto che finora Washington ha evitato di chiedere un cessate il fuoco, preferendo parlare di “pause umanitarie”.

La posizione dell’amministrazione Biden è sempre meno accettata dall’opinione pubblica statunitense. Un nuovo sondaggio indica che due terzi della popolazione vorrebbero un cessate il fuoco, mentre in settimana la percentuale di intervistati convinti che gli Stati Uniti facciano bene a sostenere Israele è scesa al 32 per cento. All’inizio della crisi era al 41 per cento.

Le varie inchieste rivelano che nel paese si è aperta una frattura generazionale: i più giovani, compresi i giovani ebrei, sono sensibili alla causa palestinese, e in Medio Oriente ritrovano gli stessi temi che animano i campus americani da anni, come Black Lives Matter o il dibattito sulla decolonizzazione. A meno di un anno dalle presidenziali, questa situazione preoccupa i democratici.

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In Francia il dissenso non ha la stessa portata, ma in settimana le Figaro ha pubblicato una lettera scritta da una decina di ex ambasciatori di Francia in Medio Oriente per protestare contro quello che hanno percepito come un allineamento iniziale di Parigi sulla politica di Israele. Secondo i firmatari questo atteggiamento non viene compreso nella regione e soprattutto si allontana dalla tradizionale posizione francese, basata su un equilibrio tra israeliani e palestinesi.

Il fenomeno è abbastanza raro da meritare una riflessione. La scelta degli ex ambasciatori testimonia un malessere all’interno del Quai d’Orsay, il ministero degli esteri francese, emerso in modo particolare quando il presidente Emmanuel Macron, durante la sua visita in Israele, ha lanciato l’idea di una coalizione anti-Hamas. Il ministero non ne era stato informato, e l’iniziativa si è rivelata un flop.

Da allora Macron ha ricalibrato la sua posizione sostenendo un cessate il fuoco e criticando la sorte riservata ai civili bombardati a Gaza. Parigi ha appena inviato in Medio Oriente il ministro delle forze armate Sebastien Lecornu per spiegare la posizione francese.

A Parigi come a Washington, un conflitto brutale che ha sorpreso tutto il mondo sta creando nuove linee di frattura. I governi non possono più ignorarlo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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