16 febbraio 2015 16:25

“Il mio nome completo è J.R. Wharton Eyerman. Ma le due iniziali non significano niente. Sono nato in quello che è stato “il più antico e più grande studio fotografico del Montana”. Ho imparato a fotografare da mia madre, che era una bella fotografa. Mio padre mi permetteva di seguirlo nel suo lavoro mentre faceva migliaia di negativi nei parchi di Yellowstone e Glacier. Ho lasciato Butte e la fotografia all’età di 15 anni per andare all’università di Seattle. Quattro anni dopo ero un ingegnere civile”.

Così si presenta alla redazione di Life, nel 1940, uno dei fotografi che avrebbe poi scattato immagini tra le più conosciute e copiate nel mondo.

Eyerman lavorò per la rivista statunitense dal 1942 al 1961, documentando la seconda guerra mondiale imbarcandosi con la flotta atlantica nell’Africa del nord e in Sicilia, e quella nel Pacifico durante la campagna nelle isole Marianne.

La sua formazione di ingegnere gli ha permesso di sperimentare apparecchi che “hanno aiutato a superare molte barriere nella tecnica fotografica”, come racconta il critico Stanley Rayfield nel volume Life photographers: their careers and favorite pictures. “Quando si trattava di catturare l’immagine di una situazione difficile da rendere fotograficamente, Eyerman trovava sempre una soluzione, studiandola a tavolino o creandola con le sue mani”.

Un esempio è la fotocellula che usò per far scattare contemporaneamente gli interruttori di nove macchine fotografiche e documentare il test dell’esplosione di una bomba atomica nel deserto del Nevada, nel 1953. Oppure, quello realizzato lo stesso anno collaudando un apparecchio che permetteva di scattare immagini a quasi duemila metri di profondità nell’oceano.

Ma la sua sfida maggiore fu fotografare l’aurora boreale in Canada, negli anni cinquanta, per un articolo intitolato The atmosphere, pubblicato sulla serie di Life The world we live in. Quando si trovò per la prima volta davanti a quel cielo si rese subito conto che fotograficamente non era così luminoso come credeva, perché alcune porzioni erano molto più scure di altre.

Davanti a questa situazione decise prima di provare a pre-esporre la pellicola in camera oscura per avere la possibilità di catturare più luce; ma il tentativo non funzionò perché il movimento delle aurore rendeva le immagini molto mosse. Infine, capì che poteva usare un altro strumento: uno specchio concavo.

J. R. Eyerman con lo specchio concavo usato per fotografare l’aurora boreale, il 1 ottobre 1951. (J. R. Eyerman, Life picture collection/Getty Images)

“Per osservare la natura dei pianeti apri il tetto e fa cadere l’immagine del pianeta sul fondo di uno specchio concavo. L’immagine riflessa mostrerà la superficie del pianeta molto ingrandita”. Questa tecnica, studiata da Leonardo da Vinci nel sedicesimo secolo, è esattamente quella che mise in pratica Eyerman. Grazie allo specchio concavo, usato come lente d’ingrandimento, riuscì a ottenere delle immagini ferme e luminose di quelli che nel suo taccuino di appunti aveva chiamato ghostly streamers, le scie dei fantasmi.

L’aurora boreale fotografata da Eyerman nel 1953. (J. R. Eyerman, Life picture collection/Getty Images)

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