11 dicembre 2014 17:11

Sono tre giorni che mia figlia canticchia interrottamente canzoni di Natale ed è completamente immersa nello spirito delle feste. Accarezza ogni albero che incrocia per strada, prepara decorazioni e si sofferma a lungo di fronte a ogni barba bianca sospetta.

Non aspetta Babbo Natale - o almeno dice di non aspettarlo - e ogni tanto ci chiede se siamo sicuri che da noi non c’è proprio nessun signore che consegni dei regali. Se non Babbo Natale almeno una specie di Babbo Chanukkah.

Adora Natale nonostante i nostri tentativi di sostituirlo con con la nostra festa ebraica. Preferisce l’albero illuminato di piazza Venezia all’immenso candelabro che sarà installato in pieno centro di Roma.

La sera va a dormire canticchiando le canzoni di Natale e si addormenta ascoltando le canzoni di Chanukkah sul cd. E la mattina inevitabilmente si sveglia cantando un misto di stelle e candele.

Frequenta la scuola pubblica italiana: con un bell’albero in classe, senza presepe e con maestre che sanno raccontare entrambe le festività. Sono anni che colora e incolla sia alberi sia candele e qualche tempo fa ha assistito insieme a noi genitori al saggio del fratello, che ha recitato una filastrocca natalizia insieme ad altri compagni di classe di quattro anni, ballando e cantando tutti insieme una canzone di Chanukka. Vivono lontano dalle polemiche, dagli insulti e dalla rabbia. Semplicemente perché la politica per loro fortuna non ha (per ora) varcato la soglia della loro classe.

Vivono lontano da quella provocazione che è stato portare un presepe - soprattutto visto che non era richiesto - in una scuola che, come si legge nel comunicato stampa, non lo aveva mai vietato, ma aveva semplicemente invitato i docenti a fare “ciò che è opportuno, intelligente e sensato in una scuola pubblica plurale e inclusiva”, al fine di “porre una pretesa normalità come modello di riferimento”.

Il problema non è la scelta più o meno condivisibile del preside Luciano Mastrorocco, sostenuto tra l’altro in una lettera pubblica dai suoi insegnanti, ma la prepotenza e l’arroganza di un leader politico che ha trasformato una sana realtà scolastica in un’arena della realpolitik, strumentalizzando la religione.

Il “giù le mani dalla religione” lanciato da Matteo Salvini nei confronti del “preside contro il Natale”, “caprone ignorante che non rispetta le tradizione”, apre la strada e perfino legittima tanti insulti gratuiti che non sono tardati ad arrivare.

In realtà non si tratta di togliere le mani della scuola dalla religione: sono le lunghe braccia della politica che dovrebbero restare al di fuori del cancello della scuola, limitandosi al limite a guardare.

“Non è un problema di religione”, ha aggiunto Salvini e in questo ha ragione.

È un “problema” elettorale.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it