Ora che i miei figli sono cresciuti e sono entrati nella fase dei rapporti sentimentali, mi sono resa conto che non posso dare consigli in materia di appuntamenti, perché la mia esperienza è molto atipica e poco rappresentativa. Sto con Ben da più di 35 anni, e non sono mai stata a un vero e proprio primo appuntamento tra adulti. Forse è per questo che mi piacciono tanto i dating show televisivi: li trovo antropologicamente interessanti, come i documentari sulla natura.
Tutto è cominciato con Blind date, un programma ormai superato, in cui la conduttrice Cilla Black si muoveva in un prudente equilibrio tra scollacciato e pudico, frenando i candidati quando si spingevano troppo oltre, e ricordandoci – con le sue frequenti allusioni al procurarsi un cappello (per il matrimonio) – che sperava che i concorrenti fossero alla ricerca dell’amore e non di una scopata.
Take me out era più apertamente orientato alla scopata, anche se i partecipanti che volavano nell’immaginaria isola di Fernando (Tenerife), dovevano affrontare un bungee jumping o un pomeriggio in canoa prima di passare ai cocktail e al tête-a-tête.
Aforismi insignificanti
Poi è arrivato First dates, che adoro se non altro perché il maître del ristorante, il francese Fred Sirieix, somiglia parecchio a Ben, con la sua barba sale-e-pepe e quello sguardo ammiccante. I suoi “lanci promozionali” sono insignificanti aforismi scherzosi, cliché da attaccare al frigo, che recita con sapiente disinvoltura: “L’amore è come un bellissimo giorno d’estate. Quando ci sono le nuvole devi guardare oltre, e vedere il tramonto al di là della collina”.
Mi piace molto anche la pagina Blind date del supplemento del Guardian Weekend, e la brillante analisi settimanale post-incontro di The Guyliner. Oggi sappiamo che è lo pseudonimo dello scrittore Justin Myers, il quale ha un contratto con la casa editrice Little, Brown per due romanzi che aspetto con trepidazione, perché i suoi commenti sono sempre esilaranti e pungenti ma anche (vedi la sua rubrica di consigli amorosi su Gay Times) estremamente empatici e umani.
Mi dispero quando vedo che una coppia si arrende prima ancora che sia potuta scoccare la più piccola scintilla
Mi piace pensare di essere empatica e non solo a caccia di divertimento. Ho visto amici usare varie app di appuntamenti e questo mi ha aiutato a capire quanto siano goffi gli approcci romantici tra adulti. Se non altro perché un appuntamento coincide quasi sempre con una cena: non riesco a immaginare niente di peggio o di più cinico. Come puoi essere attratta da qualcuno, quando stai spendendo tutte le tue energie per non mangiare come Ed Miliband nella famosa foto con il panino in bocca? Un incubo.
Ma a rivelare la mia età è soprattutto la frustrazione che provo di fronte all’incapacità di certe coppie di riconoscere un buon compagno quando ce l’hanno davanti. Il loro perfezionismo, le loro liste di attributi che il partner perfetto dovrebbe possedere, la loro implacabile insistenza sulla scintilla e la chimica.
Una volta ho scritto una canzone che diceva: “You say the magic’s gone/Well I’m not a magician/You say the spark’s gone/Well get an electrician” (Dici che si è persa la magia/be’, io non sono un mago/Dici che non c’è più la scintilla/be’, chiama un elettricista), e sono rimasta della stessa idea. È un metodo sopravvalutato per valutare la compatibilità. Mi dispero quando vedo che una coppia si arrende prima ancora che sia potuta scoccare la più piccola scintilla.
Ma in fondo che ne so, io? La mia sola esperienza di appuntamenti risale agli anni dell’adolescenza, quando era tutta un’altra storia. Prima ci si conosceva in un gruppo. O su una pista da ballo o a una festa. Poi ci si studiava, ci si scambiava uno sguardo, si pomiciava, ognuno annusava i feromoni dell’altro. Una volta scoccata la scintilla, magari si usciva insieme, ma mai a cena e di solito solo per una pomiciata, dopodiché si parlava al telefono per conoscersi meglio. Rudimentale, ma funzionava.
A volte mi chiedo come potrei cavarmela oggi. Immagino le insidie in serbo per una come me – una semicelebrità, una quasi vip – se, Dio ce ne scampi, dovessi ritrovarmi di nuovo catapultata sulla scena dei primi appuntamenti. Immaginatevi un appuntamento al buio. Opzione 1: lui mi riconosce ed è un mio fan (scappo). Opzione 2: lui mi riconosce, ma non è un mio fan (preferibile, ma sempre imbarazzante). Opzione 3: lui non mi riconosce, ma arriva il momento del “E tu che fai?” e a quel punto lui è a) imbarazzato e si scusa (aiuto!) o b) superinteressato e vuole sapere tutto quello che si è perso (noia). Solo il pensiero mi terrorizza.
Come dice Carrie Fisher nella mia battuta preferita di Harry ti presento Sally: “Dimmi che non dovrò mai più ripassarci”.
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.
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