05 agosto 2015 12:27

Colpito da terra dal fumo di un incendio nella vicina pineta di Focene, sei ettari bruciati; colpito dall’aria con l’atterraggio clandestino di un Cessna in difficoltà e invisibile fino all’ultimo ai radar (buco raccontato dal Fatto Quotidiano); colpito dall’interno con il cortocircuito che ha devastato un intero terminal – su cui la procura di Civitavecchia, con l’ex pretore d’assalto Gianfranco Amendola, ha aperto un fascicolo in merito alle conseguenze per la salute dei lavoratori; e poi, ancora, colpito dal basso per via di un blackout elettrico, venti minuti al buio e la furia dei viaggiatori ripresa dai video di Youreporter.

L’aeroporto Leonardo da Vinci, per tutti Fiumicino, è assediato come in una congiura shakespeariana. Quell’FCO – sigla sulle targhette dei bagagli – che inaugura la guida Roma vista controvento (Bompiani) di Fulvio Abbate e che rappresenta il primo accesso alla capitale, questione pratica ma anche di aspettative: “La prima lettera, la prima immagine, l’alfa dell’abbecedario romano che appare agli occhi del visitatore giunto da fuori grazie al trasporto aereo è il nastro che serve a restituire il bagaglio. Va osservato con trepidazione, pronunciando lentamente il rosario-mantra del ci sarà o non ci sarà”.

Nel 2000 l’aeroporto ha cambiato pelle con la privatizzazione

Fiumicino è un signore che ha all’attivo 54 stagioni, attivo dal 1961, inaugurato l’anno prima per le Olimpiadi. Ha avuto una genesi precaria quanto monumentale viste le promesse da mantenere. Come ricorda La Stampa: “Per il nuovo scalo della Capitale, era il 1949, si scelsero i paludosi (e inadatti) terreni della duchessa Torlonia nella bonifica di Porto. Si partì nel 1950, ma dopo otto anni e 24 miliardi di lire spesi, a Fiumicino non c’era nulla. Dopo, per asciugare l’acqua si presero tonnellate di terra scavate da una valle vicina: la futura discarica di Malagrotta”. L’avventura di Fiumicino fu bollata da Montanelli da subito come “molto peggio di un furto, di una rapina a mano armata, di una incursione di briganti”.

A lungo FCO è stato oggetto di polemiche legate al peccato originale.

Esiste perfino una lunga striscia di Giacomo Chiappori apparsa in una pubblicazione anni ottanta di Panorama intitolata Storie d’Italia a fumetti, di scandalo in scandalo “dove si narra la meravigliosa storia di un aeroporto con le stupefacenti gesta di ministri speculatori, prelati, generali, patrizi vaticani, colonnelli…”.

Nei poliziotteschi con Tomas Milian a Fiumicino bazzica spesso Bombolo in cerca di polli da spennare con truffe varie.

Nel 2013 fecero scalpore le immagini dell’operazione “Stive pulite”, quando la magistratura di Lamezia Terme mise fine a uno degli incubi dei viaggiatori, i furti dei bagagli. Dopo aver coinvolto 400 agenti e visionato novemila filmati per oltre duemila ore di ripresa, fu stroncata una banda di predatori – “gli handling infedeli” – che operava negli aeroporti di tutta Italia.

A Fiumicino finirono in manette 18 dipendenti, ripresi mentre rubavano nell’unico posto senza telecamere, le stive. In rassegna stampa è finita anche la liberalizzazione del mercato degli handler che ha portato spesso caos e crisi nel settore, cioè tagli e rimescolamenti.

Soffrire di solitudine

L’attenzione è sempre forte su Fiumicino perché le emergenze, i disagi, le proteste, ma anche la naturale richiesta di efficienza, riguardano il più grande e importante aeroporto d’Italia: 1.590 ettari di terreno, quattro piste, 318mila metri quadri di terminal, 355 banchi di check-in. I dati di luglio 2015 di uno studio di settore della Cassa depositi e prestiti (Cdp) mettono FCO tredicesimo nel classifica mondiale per connettività – ovvero la posizione relativa che uno scalo occupa nel network di riferimento (Malpensa è al 26) – e settimo per traffico passeggeri dopo Londra Heathrow, Parigi Charles de Gaulle, Francoforte, Amsterdam, Madrid e Monaco.

I dati relativi ai passeggeri del mese di maggio sono 3.527.559 persone, dall’inizio dell’anno a FCO hanno transitato 14.862.022 viaggiatori.

Durante l’incendio che ha colpito la pineta adiacente all’aeroporto di Fiumicino, il 29 luglio 2015. (Vincenzo Livieri, Lapresse)

Mille tra decolli e atterraggi al giorno in media. Le prime destinazioni sono Parigi, Amsterdam (entrambe oltre un milione di passeggeri) e Barcellona, quelle intercontinentali sono New York (618mila passeggeri), Tel Aviv e Dubai, quelle italiane Catania (un milione di passeggeri nel 2014) e poi Palermo e un po’ distaccata Milano (complice l’alta velocità).

Nel 2000 l’aeroporto ha definitivamente cambiato pelle con la privatizzazione, la società Adr (Aeroporti di Roma) è controllata al 95,9 per cento da Atlantia Spa, il cui principale azionista è la famiglia Benetton. Anche gli aeroporti europei che lo precedono in graduatoria sono privatizzati, o parzialmente privati o in via di privatizzazione.

Lo studio Cdp ricorda che “il contributo complessivo del sistema aeroportuale all’economia italiana è stimato pari al 3,6 per cento del pil”.

Nonostante la connettività anche Fiumicino soffre di solitudine. Alfredo Diorio, delegato del sindaco di Fiumicino per la protezione civile, ha denunciato su Affaritaliani gli enormi ritardi con cui sono arrivati i Canadair per sedare l’incendio nella pineta: “Erano le 12.35 quando ho chiesto alla sala operativa regionale il supporto dei Canadair perché l’incendio stava assumendo proporzioni gigantesche. Il primo mezzo, un elicottero dei vigili del fuoco è atterrato in zona alle 15.25 e non aveva neanche il cestello per l’acqua agganciato”.

L’inviato di Repubblica Carlo Bonini di incendi ne ha contati cinquantatré: “È il numero di incendi divampati dal 1 agosto 2013 lungo i dieci ettari del perimetro aeroportuale. Più di due al mese”. Dopo aver ipotizzato il dolo, il sindaco di Fiumicino Esterino Montino – ex senatore Ulivo, ex presidente temporaneo della regione, ex segretario dei Ds romani, ex capogruppo Pd in regione – ha scritto una lettera al presidente della commissione trasporti della camera Michele Meta:

Non è possibile che l’aeroporto di Fiumicino, con 800 voli giornalieri e 40 milioni di passeggeri all’anno, che si trova all’interno di un comune di 213 chilometri quadrati, con 80mila abitanti, 24 chilometri di costa, seimila barche da diporto, sorga in un territorio completamente depauperato dalla presenza dello stato sul tema della sicurezza e della prevenzione, senza una caserma di pompieri al di fuori della rete di recinzione, senza un presidio della forestale a vigilare sulla Riserva naturale statale del Litorale romano e con solo 80 vigili urbani in pianta organica, di cui 30 assorbiti sulla viabilità dello scalo.

Mostrare il tesserino da giornalista agli operatori di Fiumicino non basta, dallo sportello informazioni alle hostess agli addetti ai lavori non commenta niente nessuno, saranno gli effetti di quanto successo all’autista dell’Atac Christian Rosso dopo l’iniziativa personale di riprendersi in video.

Basta però avvistare una mascherina bianca nei pressi del Terminal 3 per capire che sono passati tre mesi dall’incendio interno e c’è ancora bisogno di mascherine.

In senato la commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro ha aperto un’inchiesta il 3 giugno.

Nel resoconto dell’ultima seduta del 27 luglio presieduta dalla senatrice Pd Camilla Fabbri si può leggere che

emerge un’uniformità dei dati rilevati nel monitoraggio dalla società Hsi, la società privata a cui si è rivolta Adr, dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) e dall’Istituto superiore di sanità (Iss) ma con una diversa considerazione circa i valori di tollerabilità in un ambiente di lavoro per molte sostanze nocive per la salute (per esempio toluene, diossina eccetera) prodottesi a causa dell’incendio. Da un lato emerge una diversa considerazione del contesto di riferimento (ambiente di vita o attività industriale) e dell’autorità sanitaria cui attingere (Organizzazione mondiale della sanità o American conference of governmental industrial hygienists, l’Acgih) e dall’altro il parametro normativo di riferimento per garantire la salute dei lavoratori e di tutte le persone presenti sul luogo di lavoro.

Non è bastato che a soli quattro giorni dall’incendio del 7 maggio Adr comunicasse l’assenza di rischi per la salute con i parametri in regola, né che il molo D del Terminal 3 fosse riaperto il 18 maggio con l’assenso di un rappresentante della Asl Roma D.

Passeggeri attendono ai check in a causa dei ritardi dei voli, il 30 luglio 2015. (Telenews/Ansa)

Il 27 maggio infatti il procuratore di Civitavecchia Gianfranco Amendola ha messo sotto sequestro il molo D perché “si è accertata la persistente inosservanza da parte dei datori di lavoro delle disposizioni previste dalla legge a tutela della salute dei lavoratori, culminata, nonostante apposite prescrizioni e diffide della Asl Rmd, nella riapertura della zona interdetta”.

Il molo D ha riaperto solo il 18 luglio: ci è voluto un mese e mezzo per far tornare Fiumicino alla piena operatività. Due giorni prima del sequestro l’Ansa aveva titolato “Presenza diossina, due indagati”, ma “il sequestro non è per diossina”, è la precisazione di Amendola raccolta dai giornali.

Per l’Ansa gli indagati sarebbero un dirigente dell’Asl e addirittura l’amministratore delegato di Aeroporti di Roma, Lorenzo Lo Presti. Sempre per l’Ansa sarebbero 150 i lavoratori impiegati all’aeroporto con patologie respiratorie di vario tipo; problemi di salute certificati da medici.

Anche il Cnr come l’Arpa, il Laboratorio di igiene industriale dell’Asl di Viterbo e l’Iss vengono aggiunti alla lista per le analisi e le rilevazioni dell’aria. Il 15 luglio il Corriere della Sera ha scritto che per “le carenze nelle misure per la sicurezza riscontrate dai vigili la procura di Civitavecchia dà l’ultimatum: tre mesi per mettere lo scalo a norma)”, ma lo stesso procuratore Amendola smentisce la scadenza.

Sta di fatto che “la bonifica è finita tra l’11 e il 12 luglio”, spiega l’Iss che continua a sfornare relazioni sul monitoraggio, “nella fase post bonifica tutti gli inquinanti, anche i policlorobifenili (Pcb), sono scesi sotto il limite, è diminuita meno la diossina in alcune aree, piano piano sta raggiungendo il limite di sicurezza. Non c’è una situazione di rischio, tanto che il molo è stato riaperto, l’Asl di riferimento si è basata sulle nostre relazioni. Con la prossima siamo alla settima e ultima, poi Adr continuerà nei monitoraggi con la nostra supervisione”.

È colpa della concorrenza

Sempre lo studio di settore Cdp allerta che “a oggi la situazione più critica riguarda lo scalo di Roma-Fiumicino, per il quale si rendono necessari interventi su piste, piazzali e aerostazioni al fine di ridurre i fenomeni di congestione ed evitare ripercussioni sulla capacità commerciale dello scalo”.

Alitalia, unica compagnia aerea ad avere il proprio hub a Fiumicino e responsabile del 50 percento del totale dei voli nello scalo laziale (nel 2014 ha trasportato 23,3 milioni di passeggeri), ha quantificato i danni del brutto incendio al Terminal 3 in 80 milioni di euro.

Per il 2044 le previsioni parlano di cento milioni di viaggiatori all’anno

Silvano Cassano, amministratore delegato di Alitalia ha detto che “Fiumicino non è oggi un’infrastruttura adeguata a fungere da hub di una compagnia con le nostre ambizioni”, ma soprattutto ha puntato il dito sulla concorrenza: “Se Fiumicino continuerà a puntare su compagnie low cost e servizi mediocri, Alitalia sposterà la sua crescita altrove”.

A Fiumicino i low cost sono arrivati da poco ma già fanno il bello e cattivo tempo: EasyJet (terzo vettore in Italia con 13,3 milioni di viaggiatori) ha annunciato che da aprile 2016 non avrà più questo aeroporto come base operativa, “perché la base di Roma genera ritorni inferiori alle altre basi di EasyJet. Inoltre lo scalo romano fornisce un’esperienza di viaggio povera, con conseguenze negative sui livelli di puntualità e soddisfazione dei clienti”.

Ryanair ha invece detto di voler approfittare dei malumori di Alitalia per investire in rotte e voli italiane, ribadendo il primato di prima compagnia per passeggeri in Italia: 26,1 milioni di passeggeri l’anno.

Nel mezzo sta la spagnola Vueling, la compagnia che ha avuto maggiori problemi con gli eventi di Fiumicino: l’Enac ha dovuto sollecitare ufficialmente la compagnia a intervenire per risolvere i disservizi minacciando la sospensione dai voli in Italia.

Nella conferenza stampa il dirigente Vueling Fernando Val ha risposto che “i disservizi sono stati causati dalla società di handling (trasporto bagagli) Aviation services. Le società di handling che operano a Fiumicino al momento non risultano efficienti perché presenti in numero troppo elevato rispetto al mercato e agli altri hub internazionali”.

Infine il presidente Enac Vito Riggio ha annunciato “sanzioni pecuniarie rilevanti e pesanti come previsto dal regolamento europeo, commisurate ai danni subiti dai passeggeri”.

Tornato alla normalità, FCO venerdì 30 luglio ha ospitato 157mila viaggiatori, un record per l’aeroporto.

I numeri sono un’ossessione ma anche un passaggio obbligato per confrontarsi con l’estero e soprattutto per i progetti futuri che devono includere anche l’arrivo dei pellegrini per il Giubileo e la candidatura romana per le Olimpiadi del 2024.

Il termine di paragone è Londra-Heathrow, il terzo aeroporto al mondo, che ha due piste e fa viaggiare più di 70 milioni di passeggeri, il doppio di Fiumicino. L’incendio alla pineta di Focene ha risollevato sul Fatto Quotidiano il tema del raddoppio di Fiumicino.

Cemento e presunte illegalità

Raddoppiare i viaggiatori significa raddoppiare Fiumicino e viceversa.

Il contratto di programma tra Enac e Adr, operativo per decreto dal dicembre 2012 – uno degli ultimi atti del governo Monti proprio nel giorno delle dimissioni – “assicura la certezza delle entrate necessarie allo sviluppo del piano degli investimenti”.

Ovvero dalla fine del 2012 sono aumentate le tariffe d’imbarco di Fiumicino, da 16 euro a passeggero a 26, 50, per un introito – sborsato dai viaggiatori – di 360 milioni di euro all’anno fino al 2044 quando scadrà la concessione dell’aeroporto: anno in cui si stima Fiumicino dovrà reggere cento milioni di viaggiatori.

Il piano investimenti fino al 2044 è di undici miliardi. Circa due e mezzo sono destinati entro il 2021 all’ampliamento di Fiumicino sud, tre terminal per nuovi 180mila metri quadri di aeroporto, primo piano sbloccato nell’agosto 2013 dai ministri Massimo Bray e Andrea Orlando.

Passeggeri davanti all’aeroporto, il 7 maggio 2015. (Vincenzo Livieri, Lapresse)

Il piano su Fiumicino nord prevede invece nuove piste e terminal, insomma il raddoppio. L’area interessata è già nella denominazione, sono i 1.300 ettari che cadono nella Riserva naturale del Litorale romano, dove in teoria non si può piantare nemmeno un chiodo senza permesso.

La riserva è stata istituita dal ministero dell’ambiente nel 1996 ed è sottoposta a vincoli regionali, provinciali e comunali. Nella riserva la parte del leone, circa 800 ettari, la fa la Maccarese spa, azienda agricola di proprietà di Benetton, già concessionaria con Adr di Fiumicino.

Il Comitato FuoriPista è in allarme da parecchi anni perché nella convenzione Enac-Adr, poi convertita in decreto legge, le “occupazioni, espropriazioni e acquisizioni di terreni e beni immobili strettamente necessari per l’adeguamento infrastrutturale del sistema aeroportuale della capitale possono essere effettuate a cura e a spese della concessionaria”.

Inoltre nel Piano di sviluppo aeroportuale stabilito dalla convenzione è prevista l’automatica variante agli strumenti urbanistici vigenti.

Anche il decreto sblocca Italia 133 del 2014 prevede un comma di procedure rapide per i piani aeroportuali. E il comune di Fiumicino è sulla stessa lunghezza d’onda del comitato: hub più efficiente sì, più grande no. Che succederà?

Intanto la corte dei conti del Lazio nella relazione di inizio anno del procuratore Raffaele de Dominicis) ha incluso Fiumicino tra i fascicoli aperti dai pubblici ministeri contabili, due righe laconiche ma pesanti: “Raddoppio aeroporto di Fiumicino un business da 20 miliardi: presunte illegittimità”.

Ne ha dato traccia la Repubblica in un articolo su “Roma cimitero delle incompiute”.

Il quotidiano britannico The Independent proprio in questi giorni inserisce l’hub di Roma al secondo posto di una top five degli aeroporti da evitare. Primo Charles De Gaulle Parigi, poi Roma – “Even before the fire in May that cut capacity, the Italian capital’s main airport was a confusing shambles” – seguita da Mosca, Ginevra e Nairobi.

Apocalittico più dell’Independent è lo stesso sindaco Montino che attacca ancora Adr in una intervista, per esempio sull’atteso molo C, con i lavori iniziati nel 2008.

La replica di Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Atlantia (l’azienda che controlla Aeroporti di Roma) è che il molo aprirà nel 2016 e dal 2013 a Fiumicino gli investimenti hanno raggiunto un totale di oltre 600 milioni: 130 nel 2013, 170 nel 2014, più di 300 quest’anno, con un trend crescente in linea col programma.

Ci sono le distanze tra amministratori statali e aziende private e quelle fisiche, tra viaggiatore e aeroplano. Fiumicino dista circa 30 chilometri dal centro di Roma, la capitale con le sue periferie si è avvicinata moltissimo.

Il treno Leonardo Express parte però da Termini, impiega 32 minuti al costo di 14 euro, mentre il trenino per l’aeroporto FL1 ce ne mette 48 per otto euro perché lo si può prendere dalle altre stazioni ferroviarie di Roma.

La tariffa taxi è fissata dal comune di Roma, 48 euro da dentro le Mura Aureliane. A FCO si arriva anche con i mezzi propri, con un’autostrada piena di bandiere, dall’incedere glorioso ma soprattutto di fretta, perché la paura è sempre quella di non fare in tempo. La frenesia è di casa. I parcheggi kiss & go hanno sostituito la sosta selvaggia davanti ai Terminal. Ognuno ha 15 minuti a disposizione per trovare parcheggio, scendere, accompagnare, abbracciare, salutare, tornare indietro e uscire dalla zona ripresa dalle telecamere. Chi resta finalmente vola.

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