18 gennaio 2016 11:02

L’ultima volta che l’hanno visto, Lee Bo era fuori del magazzino della Mighty Current, la casa editrice di cui è comproprietario, nel centro industriale Hong Man di Hong Kong. Era il 30 dicembre, e c’è chi assicura che ci fosse “qualcuno” ad aspettarlo all’ingresso e l’abbia convinto a seguirlo. Quando la moglie, insospettita dal ritardo di Lee, è arrivata al magazzino, di lui non c’era più traccia.

Da allora la saracinesca della libreria della Mighty Current a Causeway Bay, il più noto quartiere dello shopping dell’ex colonia britannica, è rimasta abbassata. Ogni tanto qualcuno, per lo più curiosi e giornalisti, si ferma a leggere il cartello appeso alla maniglia della porta d’ingresso. Sopra c’è scritto semplicemente “chiuso”.

La scomparsa di Lee è l’ultima di una serie cominciata alla metà di ottobre del 2015, da quando sono svaniti nel nulla altri quattro uomini legati alla Mighty Current. Uno di loro, Gui Minhai, socio di Lee, sarebbe stato prelevato da alcuni sconosciuti mentre era in vacanza nella sua casa in Thailandia: è poi ricomparso il 17 gennaio in un videomessaggio trasmesso dalla tv di stato cinese in cui assicura di essersi consegnato volontariamente alle autorità per scontare una condanna del 2004 sospesa con la condizionale. E poi tre dipendenti della libreria: Lu Bo, Zhang Zheping e Lin Rongji. Ma mentre loro sono spariti quando si trovavano a Shenzhen – la prima città cinese oltre il confine – Lee è stato prelevato direttamente a Hong Kong, dove la polizia cinese (se, come si sospetta, è l’autrice delle sparizioni) non potrebbe operare. È questo l’aspetto più inquietante per gli abitanti dell’ex colonia britannica.

Quelli che parlano apertamente sono sempre meno. Ancora meno quelli che pubblicano

La libreria di Causeway Bay era una delle “librerie del secondo piano”, dove l’affitto è più basso e dove gli scaffali sono zeppi di jinshu, i titoli proibiti in Cina di cui vanno ghiotti i turisti che arrivano a frotte dal continente. Ci sono lavori seri, come quelli pubblicati dalla New Century Press, che ha dato alle stampe titoli importanti come le memorie di Zhao Ziyang, l’ex consigliere politico di Deng Xiaoping, addetto alle riforme, punito dopo i fatti di Tiananmen per il suo sostegno agli studenti in piazza. O quelli che cercano di fornire biografie dei leader cinesi ripulite dalla propaganda, come fa la Open Press.

Curiosità morbosa

Quelli pubblicati dalla Mighty Current sono invece titoli più sensazionalistici, spesso commissionati a vere o presunte amanti dei leader cinesi, con molte concessioni al gossip e pieni di pettegolezzi non verificati, che si concentrano sugli intrighi di potere, sulle loro vicende sentimentali ed erotiche, sugli scandali economici. Libri che non fingono nemmeno di essere accurati o veritieri, ma che divertono e intrigano i lettori cinesi. L’opacità del Partito comunista è tale da alimentare nei lettori una curiosità morbosa che alcuni editori e riviste di Hong Kong cercano di soddisfare.

La casa editrice di Lee e Gui era specializzata in libri scritti e pubblicati in tempi rapidi. “Stavo scrivendo una biografia dell’ex presidente Hu Jintao”, racconta un autore della Mighty Current che chiede di restare anonimo, “ma avevo bisogno di altro tempo. Per loro però la cosa più importante era pubblicare il prima possibile, e mi avevano offerto il doppio dell’anticipo se avessi consegnato le bozze in due settimane”, spiega.

Non c’è da stupirsi che voglia restare anonimo: dopo tutto quello che è successo, quelli che parlano apertamente sono sempre meno. Ancora meno quelli che pubblicano: Yu Jie, per esempio, un autore cinese in esilio negli Stati Uniti che scrive libri di denuncia contro il Partito comunista, pochi giorni fa ha fatto sapere che il suo nuovo lavoro su Xi Jinping per il momento non andrà in stampa. Per Jing Zhong, il direttore editoriale della rivista Open Press e dell’omonima casa editrice, il momento è molto delicato, è meglio essere cauti. Come a dire che la scomparsa misteriosa dei cinque è riuscita a domare, se non altro temporaneamente, l’editoria di Hong Kong. Che era nel mirino già da tempo.

Page One, una catena librerie
di Singapore, toglierà dai suoi scaffali tutti i volumi sgraditi a Pechino

Oggi la maggior parte delle librerie della città appartiene a cinesi legati al Liaison office, la principale rappresentanza del governo cinese a Hong Kong, e vendono solo titoli “innocui”. “In precedenza, tutte le librerie avevano un tavolo con i libri proibiti, magari sul retro. Negli ultimi anni, e in particolare dopo le manifestazioni organizzate dal movimento degli ombrelli nel 2014, l’ordine di toglierli di mezzo è stato perentorio”, spiega Renée Chiang, della New Century Press. “Oggi i libri proibiti si trovano solo nelle ‘librerie del secondo piano’”.

Prima della scomparsa dei cinque librai si potevano comprare anche all’aeroporto. Adesso Page One, una catena di Singapore, ha fatto sapere che toglierà dai suoi scaffali tutti i volumi sgraditi a Pechino, e altre librerie stanno facendo lo stesso. Un commesso di Page One raggiunto al telefono risponde inquieto: “So di che libri parli. I libri politici. Li abbiamo venduti tutti e non ne riceveremo di nuovi. Non li venderemo più. Penso che tu possa capire. Non fare il mio nome, grazie”. Poi riattacca.

Si dice che all’origine di queste sparizioni, e di questa ventata d’aria gelida su Hong Kong, ci sia un libro intitolato Xi Jinping e le sue sei donne, resoconto delle avventure amorose del segretario generale del Partito comunista, nonché presidente, prima del matrimonio con la first lady Peng Liyuan. Secondo fonti che chiedono di restare anonime, però, le pressioni sulla Mighty Current da parte delle autorità cinesi andrebbero avanti da anni: “Non è stato un solo titolo”, dice un altro editore, “sono almeno una dozzina i libri che li hanno fatti arrabbiare. E, dato che Gui Minhai non ha mai dato ascolto alle pressioni, anche alle più esplicite, qualcuno ha deciso di mettere fine all’intera operazione”.

Le manifestazioni sono quasi quotidiane. Senza scandire slogan,
i cortei ripetono una sola domanda: ‘Dove sono?’

Nei primi giorni di gennaio la storia dei “librai di Hong Kong spariti nel nulla” ha cominciato a rimbalzare sui siti di tutto il mondo. Poco dopo la moglie di Lee ha ricevuto una lettera scritta a mano in cui l’editore diceva di stare bene e di essere andato a Shenzhen “per motivi personali” e “per collaborare a un’indagine giudiziaria”. Il messaggio era stranamente scritto in mandarino, non in cantonese (la forma di cinese usata nell’ex colonia britannica), e non specificava altro, ma a quanto pare alla signora Lee è bastato per ritirare la denuncia della scomparsa del marito.

Durante una manifestazione contro la scomparsa dei librai a Hong Kong, il 10 gennaio 2016. (Tyrone Siu, Reuters/Contrasto)

Le manifestazioni per le strade della città sono quasi quotidiane sotto la pioggia invernale. Senza scandire slogan, i cortei ripetono insistentemente una sola domanda: “Dove sono?”.

La stampa locale è ossessionata da questo caso, e durante le sessioni del LegCo, il miniparlamento locale, le interrogazioni sulla sorte dei librai scomparsi sono state diverse. Anche il capo dell’esecutivo, CY Leung, di solito più attento a compiacere Pechino che a governare Hong Kong, ha espresso la sua “inquietudine”. Ma nemmeno lui è stato in grado di convincere le autorità cinesi a rivelare quello che sanno.

Finite le manifestazioni di Occupy Hong Kong, il controllo delle autorità si è esteso prima alle scuole e poi ai mezzi d’informazione

Una brutta vicenda che arriva dopo anni di crescenti tensioni tra Hong Kong e Pechino: nel 1997 il ritorno sotto la sovranità cinese dell’ex colonia britannica avvenne con garanzie deboli, che prevedevano la formula “un paese due sistemi” e l’immutabilità delle istituzioni politiche di Hong Kong per i successivi cinquant’anni. Hong Kong avrebbe dovuto avere un “alto grado di autonomia” ed elezioni a suffragio universale, che però sono ancora un miraggio.

Pechino non capisce perché i cittadini di Hong Kong siano così poco “patriottici” e così poco disposti a identificarsi con il Partito comunista, dimenticando che la maggior parte degli hongkonghesi è figlia di chi è arrivato sull’isola scappando dal controllo comunista, in alcuni casi anche a nuoto. Il movimento degli ombrelli del 2014, poi, ha fatto il resto, dimostrando la maturità politica di Hong Kong e la sua totale estraneità ai metodi di governo cinesi, ma convincendo la Cina che l’ex colonia è da rimettere in riga.

Così, finite le manifestazioni di Occupy Hong Kong, il controllo delle autorità si è esteso prima alle scuole e alle università, con l’imposizione di consigli di direzione filocinesi, poi ai mezzi d’informazione, ormai schiacciati dall’autocensura.

La scomparsa dei librai avviene in questo clima di grande inquietudine. Hong Kong non è più il luogo sicuro dove nessuno deve temere di essere svegliato nel cuore della notte da spaventosi colpi alla porta. Agnes Chow, una delle più attive figure del movimento Occupy, ha registrato un videomessaggio in cui chiede aiuto al mondo intero. E molti attivisti per i diritti umani che consideravano l’isola un porto franco, ora hanno improvvisamente paura. Dopo i librai, potrebbe toccare a loro.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it