Le macerie del campo profughi di Jabalia, nella Striscia di Gaza, 1 novembre 2023. (Mohammed al Masri, Reuters/Contrasto)

Le autorità di Hamas hanno annunciato il 2 novembre che 195 persone sono morte nei bombardamenti israeliani del 31 ottobre e del 1 novembre sul campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza.

“Altre 120 persone risultano disperse e probabilmente si trovano sotto le macerie”, si legge nel comunicato di Hamas.

Il 1 novembre l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhcr) ha affermato che i raid israeliani sul campo profughi potrebbero essere “crimini di guerra”.

Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres si è detto “sconcertato” dagli attacchi al campo di Jabalia, che ospita 116mila persone.

L’esercito israeliano ha invece affermato di aver eliminato un capo militare di Hamas, Muhammad Atzar, nel bombardamento del 1 novembre.

Settemila stranieri e persone con doppia cittadinanza

Il 2 novembre il ministero degli esteri egiziano ha annunciato che contribuirà all’evacuazione della Striscia di Gaza, attraverso il valico di Rafah, lasciando passare circa settemila stranieri e persone con la doppia cittadinanza.

In una prima operazione, il 1 novembre, a 76 palestinesi feriti e 335 stranieri e persone con doppia cittadinanza è stato permesso di attraversare il valico di Rafah, l’unico non controllato dall’esercito israeliano.

Intanto, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso la “vittoria”. Hamas deve scegliere “tra la morte e la resa senza condizioni”, ha dichiarato il 1 novembre il ministro della difesa Yoav Gallant.

La sera del 1 novembre Hamas ha riferito di “massicci attacchi israeliani” nel quartiere di Tal al Hawa, nella città di Gaza, che avrebbero causato molte vittime.

Dal 27 ottobre Israele sta conducendo un’offensiva di terra nel nord della Striscia di Gaza.

In un contesto di preoccupazione per un possibile allargamento del conflitto, il segretario di stato statunitense Antony Blinken visiterà nuovamente Israele il 3 novembre e poi la Giordania, che il 1 novembre ha richiamato il suo ambasciatore a Tel Aviv.

La Turchia e l’Iran hanno chiesto di organizzare una grande conferenza internazionale sul conflitto tra Israele e Hamas.

Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha affermato il 1 novembre che finché i palestinesi non avranno “uno stato indipendente” non potrà esserci stabilità nella regione.

Sedici ospedali chiusi

La Striscia di Gaza, controllata da Hamas dal 2007, è sottoposta dal 9 ottobre a un “assedio totale” israeliano. I 2,4 milioni di abitanti sono rimasti senza acqua, cibo ed elettricità. La situazione umanitaria è catastrofica, secondo le Nazioni Unite.

Il 1 novembre il ministero della salute di Hamas ha dichiarato che sedici dei trentacinque ospedali del territorio non sono più operativi.

Mohammed Abu Selmeya, direttore dell’ospedale Al Shifa di Gaza, il più grande della Striscia, ha lanciato un “ultimo appello”, avvertendo che il generatore principale sta per spegnersi per mancanza di carburante: “Se succederà, moriranno i neonati nelle incubatrici e i pazienti in terapia intensiva e nelle sale operatorie”.

L’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha affermato che più di settanta dei suoi impiegati sono stati uccisi dal 7 ottobre. “Ma non abbandoneremo gli abitanti di Gaza”, ha affermato Philippe Lazzarini, il direttore dell’agenzia.

Sessantuno camion con cibo e medicinali sono entrati nella Striscia di Gaza il 1 novembre, dopo i 59 del giorno precedente. Ma secondo le Nazioni Unite il numero è ancora insufficiente.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha causato la morte di più di 1.400 persone in Israele, secondo il governo israeliano. Dall’inizio del conflitto sono morti 332 soldati, alcuni dei quali al confine con il Libano.

Secondo Hamas, l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ha causato quasi 8.800 vittime, tra cui 3.648 bambini.