Il primo ministro polacco Donald Tusk con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. (Wojtek Radwanski, Afp)

Il 6 maggio la Commissione europea ha annunciato la chiusura di una procedura per violazione dello stato di diritto lanciata contro la Polonia nel dicembre 2017, grazie alle misure adottate dal nuovo governo guidato da Donald Tusk per ripristinare l’indipendenza della magistratura.

“Oggi si apre un nuovo capitolo per la Polonia”, ha affermato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

“Dopo più di sei anni la procedura dell’articolo 7 può essere chiusa”, ha aggiunto. “Mi congratulo con il primo ministro Donald Tusk e con il suo governo per questo importante passo avanti”.

La procedura dell’articolo 7 del trattato dell’Unione europea (Ue) può portare, in casi estremi, alla sospensione del diritto di voto di un paese membro nel Consiglio dell’Ue in caso di “grave violazione” dello stato di diritto.

La Commissione aveva lanciato la procedura nel dicembre 2017 in risposta alle riforme giudiziarie adottate dal governo nazionalista e populista del partito Diritto e giustizia (Pis), al potere fino al 2023.

Le relazioni tra Bruxelles e Varsavia sono migliorate dopo la sconfitta del Pis nelle elezioni legislative dell’ottobre scorso e l’arrivo al potere di una coalizione europeista guidata da Tusk.

Secondo la Commissione, “non c’è più il rischio evidente di una grave violazione dello stato di diritto in Polonia sulla base all’articolo 7 del trattato dell’Ue”.

La Commissione ha sottolineato che la Polonia ha introdotto alcune misure per ripristinare l’indipendenza della magistratura e ha riconosciuto il primato del diritto europeo, impegnandosi ad applicare le decisioni dei tribunali dell’Ue e della Corte europea dei diritti umani.

L’esecutivo europeo ha inoltre accolto con favore la decisione di Varsavia di partecipare alla procura europea.

La procedura dell’articolo 7 rimarrà quindi in vigore nei confronti di un unico stato membro, l’Ungheria guidata da Viktor Orbán. La procedura era stata lanciata dal parlamento europeo nel settembre 2018 a causa di una “minaccia sistemica ai valori dell’Unione europea”.