04 settembre 2018 14:31

Poco dopo l’11 settembre del 2001, New York era tornata per un po’ a essere la capitale mondiale del rock. In quel periodo gli album degli Strokes, degli Interpol e degli Yeah Yeah Yeahs si prendevano le copertine delle riviste musicali. Altre band minori potevano vivere di luce riflessa, mentre altre ancora (Lcd Soundsystem, The National) erano pronte a scrivere storie molto diverse, meno sensazionali ma altrettanto durature.

Oggi di quella scena, raccontata in modo originale dal libro di Lizzy Goodman Meet me in the bathroom, non è rimasto molto. Gli Strokes ormai tornano insieme solo per qualche concerto o per pubblicare album poco fortunati, mentre gli Yeah Yeah Yeahs sono fermi da cinque anni. Gli unici che continuano a fare dischi allo stesso ritmo del passato sono gli Interpol. La band guidata dal cantante Paul Banks non ha perso il gusto di fare musica e sembra sempre desiderosa di tornare ai fasti di Turn on the bright lights, lo splendido disco d’esordio del 2002 con il quale gli stessi Interpol sono chiamati ogni volta a confrontarsi.

Se c’è un album che può in qualche modo ricordare Turn on the bright lights, quello è proprio l’ultimo arrivato, Marauder. Il disco, uscito il 24 agosto e prodotto da Dave Fridmann (Flaming Lips, Mogwai), è stato registrato quasi completamente su nastro. E forse è per questo che ha quel suono così ruvido e imperfetto, come si era intuito dall’ottimo singolo The rover. In questo brano, e anche negli altri, le chitarre vanno spesso sopra la batteria e le melodie sono secche, minimaliste, mentre gli effetti sulla voce di Banks danno un nuovo retrogusto alle sue pose da Ian Curtis. Marauder è un disco compatto e rigenerante per lo stile della band.

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Gli Interpol, che l’anno scorso si sono presi una pausa dalle registrazioni per riportare in tour Turn on the bright lights, sembrano molto soddisfatti delle registrazioni. Lo si capisce parlandone con Daniel Kessler, il chitarrista della band, che ho incontrato in un hotel nel centro di Roma mentre sfoggiava il solito completo nero di ordinanza.

Marauder (che in italiano si può tradurre come saccheggiatore, ma anche assassino) è un titolo curioso. Perché l’avete scelto?
Trovare un titolo per i dischi non è mai facile. Ci piaceva il modo in cui suonava la parola, anzitutto. E poi, come ha spiegato Paul Banks, che scrive sempre i testi delle nostre canzoni, il marauder rappresenta un aspetto del suo carattere. È quel tipo che fa casini e manda a puttane le amicizie. E dar questo nome all’album era un po’ come mettere a dormire il nostro doppio cattivo e farlo stare buono.

Questo album ha un suono molto diretto. Come lo avete ottenuto?
Abbiamo uno spirito un po’ punk quando lavoriamo a delle canzoni nuove. Mentre provavamo i pezzi del disco, in uno studio di New York che abbiamo preso in affitto dagli Yeah Yeah Yeahs, abbiamo fatto così tanto casino che è venuta la polizia e ci ha cacciato fuori. Inoltre non usiamo spesso le scorciatoie offerte della tecnologia. Entriamo sempre in studio con le canzoni pronte, come se dovessimo suonarle dal vivo. Ma in Marauder c’è anche lo zampino di Dave Friedman, è lui che ci ha dato una marcia in più stavolta.

In che senso?
Ci ha convinto a registrare il novanta per cento del disco su nastro. E quindi, a differenza di quando si registra in digitale, non potevamo rifare le tracce troppe volte. Era una specie di ‘buona la prima’. È stato limitante, ma anche salutare. A volte abbiamo suonato anche senza metronomo, velocizzando o rallentando i brani a orecchio. E per questo nei nuovi pezzi si sente quello che definirei l’elemento umano. Non è un disco perfetto, ed è proprio questo a renderlo interessante.

Perché avete scelto The rover come primo singolo?
Era il pezzo perfetto da mandare in radio, ha una melodia che ti resta subito in testa. È il brano più rock’n’roll, ci sembrava l’ambasciatore giusto per presentare l’album.

Avete un rapporto speciale con il Messico, non a caso avete presentato il disco con una conferenza stampa a Città del Messico. Perché?
I messicani sono grandi fan della nostra musica. Mi piace la loro cultura e mi piace stare lì, ormai faccio avanti e indietro da New York.

Presentare un album in Messico, in questo momento storico, sembra quasi una presa di posizione politica.
Non c’era niente di politico, in realtà. Volevamo solo dare il nostro supporto al pubblico messicano.

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Un anno fa avete interrotto le registrazioni per portare dal vivo Turn on the bright lights in occasione del suo 15° anniversario. Com’è andato il tour? Questo ha avuto un’influenza su Marauder?
È andato molto bene, non avevamo mai fatto una tournéee tra un disco e l’altro, ma ci siamo divertiti parecchio. Quando abbiamo cominciato il tour Marauder era finito al 90 per cento. Però è stato interessante lasciarlo in un cassetto per qualche mese e riprenderlo in mano dopo qualche tempo. Quando abbiamo risuonato canzoni come Complications e If you really love nothing ci siamo resi conto che funzionavano, le sentivamo già nostre.

Com’è cambiata la scena rock newyorchese in questi anni?
Penso che New York sia un centro che attira molte persone da tutto il paese, ma è cambiata. È diventata una città troppo cara, e quindi per i musicisti è difficile viverci. Ci sono molti più club di vent’anni fa, ma l’affitto di una casa a Manhattan o a Brooklyn è sempre più proibitivo. Tanti si sono spostati nel Queens o nel New Jersey. Adesso poi c’è la concorrenza di Los Angeles, che sta avendo il suo grande momento. Molti nostri amici ormai vivono là.

Avete mai avuto una rivalità con gli Strokes?
No, questa è un po’ un’invenzione dei giornalisti. Ho ascoltato gli Strokes per la prima volta nel 2001, dopo che la stampa britannica aveva cominciato a parlarne un sacco. Ai tempi non conoscevo neanche gli Lcd Soundsystem o gli Yeah Yeah Yeahs. Oggi invece sono amico di alcuni degli Strokes e di altri musicisti newyorchesi. Negli ultimi anni abbiamo creato una piccola comunità.

Tornerete a suonare in Italia?
Sicuramente torneremo il prossimo inverno, ma al momento non posso dire ancora niente. Faremo più di una data, sicuramente.

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