06 dicembre 2019 09:49

Negli ultimi tempi si è tornato a parlare della tampon tax – cioè l’imposta sul valore aggiunto (iva) applicata su assorbenti, tamponi e coppette mestruali – dopo che la camera dei deputati ha approvato un emendamento al decreto fiscale che abbasserà l’iva dal 22 al 5 per cento, ma solo per gli assorbenti biodegradabili e compostabili.

Questi rappresentano una minima parte dei prodotti in commercio e non sono comunemente usati dalle donne. La decisione, arrivata dopo la bocciatura della proposta di abbassare l’iva al 10 per cento su tutti i prodotti igienici femminili, sembra più dettata da valutazioni ambientali e di sostenibilità che diretta a eliminare una disparità di genere.

In Italia l’iva sugli assorbenti femminili è stata introdotta nel 1973 e, come per altri beni e servizi, è cresciuta nel tempo dal 12 al 22 per cento. Come riporta il Testo unico sull’iva, il decreto del presidente della repubblica numero 633 del 1972, l’aliquota è ridotta al 4, al 5 e al 10 per cento per una serie di beni e servizi elencati nel decreto stesso.

Per farsi un’idea, prodotti come il tartufo o i francobolli da collezione hanno un’imposta agevolata al 10 per cento. Sono invece tassati al 4 per cento beni come il latte, gli occhiali, i libri e i manifesti per le campagne elettorali. Oggi nel nostro paese i prodotti igienici femminili, come anche i pannolini per i neonati, sono sottoposti all’aliquota ordinaria del 22 per cento perché non sono considerati beni di prima necessità.

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Ma gli assorbenti sono un’esigenza che si ripete ogni mese, non si può non usarli. Una donna, durante il periodo fertile, che dura in media quarant’anni, ha circa 450 cicli mestruali e consuma tra i diecimila e i 14mila assorbenti. Per questo motivo molti governi nel mondo, sotto l’impulso di movimenti e associazioni femministe, si stanno muovendo verso la riduzione o l’abolizione della tampon tax con lo scopo di eliminare quella che è stata definita una discriminazione fiscale di genere.

Il Canada, per esempio, ha abolito la tassazione nel 2015 a seguito di una petizione presentata al governo. Negli Stati Uniti lo stesso è successo nello stato di New York nel 2016 e poi a seguire in altri sedici stati. Quest’anno in Australia, dopo 18 anni di proteste, si è passati da un’imposta del 10 per cento all’eliminazione della tassa. Il Kenya l’ha abolita dal 2004 e, dopo accese manifestazioni, anche in India l’aliquota del 12 per cento sugli assorbenti è stata completamente eliminata nel luglio del 2018.

La Scozia ha avviato un programma di distribuzione gratuita di assorbenti nelle scuole

Anche diversi paesi europei si stanno muovendo verso questa direzione. Secondo una direttiva del Consiglio dell’Unione europea del 2006, gli stati membri possono decidere l’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto da applicare su beni e servizi, senza scendere sotto la cifra del 15 per cento. L’aliquota maggiore dell’Unione è applicata dall’Ungheria (27 per cento), quella inferiore dal Lussemburgo (17 per cento).

I 28 paesi possono inoltre prevedere due aliquote ridotte che non possono essere inferiori al 5 per cento per un numero limitato di beni, oltre a un tasso “super-ridotto” se preesistente alla direttiva del 2006. Ma negli ultimi anni l’Unione ha discusso la possibilità di concedere maggiore flessibilità ai governi nazionali e di permettere l’eliminazione totale della tassa sui prodotti sanitari, e quindi anche su assorbenti, tamponi, coppette e spugne mestruali. Dal punto di vista fiscale, in dodici stati i prodotti igienici femminili non sono ancora considerati beni di prima di necessità.

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Di recente la Germania ha annunciato che dal 1 gennaio 2020 l’imposta sui prodotti igienici femminili passerà dal 19 al 7 per cento. La Spagna ha promesso di abbassarla dal 10 al 4 per cento, dopo che nel 2017 la regione autonoma delle Canarie ne aveva già introdotto l’abolizione (è sottoposta a una legislazione speciale). Dallo scorso maggio il Lussemburgo è passato dal 17 al 3 per cento.

È del 2015 il provvedimento che in Francia ha ridotto l’imposta sui prodotti igienici femminili dal 20 al 5,5 per cento, mentre nel 2018 il Belgio è passato dal 21 al 6 per cento. Il Regno Unito ha portato la tassa al 5 per cento già nel 2000, mentre cinque anni dopo l’Irlanda l’ha eliminata completamente.

La Scozia ha anche avviato un programma di distribuzione gratuita di assorbenti e tamponi nelle scuole del paese per contrastare la period poverty, cioè l’impossibilità economica di accedere a prodotti igienici e sanitari per le mestruazioni, che spesso rappresenta un ostacolo alla frequenza scolastica.

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La questione della tassazione degli assorbenti, comunque, non può essere letta solo attraverso una lente economica. Oltre la battaglia politica, c’è anche e soprattutto quella culturale. Equiparando i prodotti per le mestruazioni ad altri beni che non sono di prima necessità, come i telefoni o la birra, si manda alla società un messaggio distorto.

I prodotti igienici femminili devono essere considerati per quello che sono: beni essenziali la cui spesa inevitabile grava ingiustamente su chi deve usarli. Che in questo caso, sono solo le donne.

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