21 febbraio 2019 18:36

Come scrive Barry Hertz sul Globe and Mail, ci vuole chutzpah, cioè un misto di incoscienza e spavalderia al limite della spacconeria, per presentare al festival di Toronto un film che s’intitola The front runner. Perché il festival è considerato il primo passo per arrivare al premio Oscar e front runner sono chiamati anche i favoriti per la vittoria del premio. A Toronto è cominciata l’ascesa di Green book, che domenica notte rischia di vincere l’Oscar, e sempre a Toronto è stata versata la prima colata di cemento sulle ambizioni di Reitman.

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Nel divertente e interessante The front runner. Il vizio del potere (tratto dal libro All the truth is out. The week politics went tabloid di Matt Bai) Hugh Jackman (da anni in cerca del film che lo possa consacrare definitivamente con una statuetta dorata) interpreta Gary Hart, senatore del Colorado, che dopo una vittoria sfiorata alle primarie democratiche del 1984, si presentò per la corsa alle presidenziali del 1988 come favorito dei democratici. Il front runner, appunto. Il film racconta come la candidatura di Hart fu bruciata in meno di un mese, a causa di una relazione extramatrimoniale tirata fuori dal Miami Herald.

Reitman ha scelto di raccontare la storia in un modo da molti definito “altmaniano”: piani sequenza, dialoghi che si sovrappongono, tanti personaggi. Ma quello che viene fuori non è un film corale, come alcuni grandi film di Altman, e anzi in questo modo il suo protagonista risulta sfuggente. E questo vale per molte altre cose. Centrale nel film il ruolo ambiguo dei giornali (fondamentalmente del Washington Post) nel decidere che la vita privata di Gary Hart era più importante delle sue idee per risollevare l’economia, dettato non tanto da un’esigenza morale, ma da logiche economiche (copie vendute) e quindi di potere. Ma Reitman non ha fatto The front runner per gettare la croce addosso ai grandi organi di stampa. Anche in questo caso, le buone intenzioni non si traducono in un’idea cinematografica particolarmente forte o memorabile. Una curiosità: Alfred Molina è il terzo Ben Bradlee (leggendario direttore del Post) di Hollywood, dopo Jason Robards (Tutti gli uomini del presidente) e Tom Hanks (The Post).

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Per molti attori considerati “comici” cimentarsi (finalmente) in un ruolo drammatico equivale a una consacrazione. È quindi una giusta ambizione ma a volte diventa un boomerang. Non è il caso di Melissa McCarthy che con il ruolo di Lee Israel si è guadagnata la candidatura all’Oscar come miglior attrice. Copia originale di Marielle Heller è tratto da un’autobiografia della stessa Israel, a sua volta biografa di celebrità.

Dopo aver ottenuto un certo successo (uno dei suoi libri finisce nella mitologica Best seller list del New York Times), all’inizio degli anni novanta Lee è in caduta libera: senza lavoro, senza legami, senza amici, in bolletta, si è ormai rinchiusa nel suo appartamento di Manhattan che condivide con l’amata gatta. Sull’orlo della disperazione comincia a falsificare lettere di celebrità del passato (tra loro Noël Coward e Dorothy Parker) e a venderle.

In questa sua discesa agli inferi l’accompagna Jack, un omosessuale di mezza età, spiantato, che da compagno di sbronze si trasforma in confidente e poi in complice. Lo interpreta Richard E. Grant. Questo attore britannico non ha fatto molti film da protagonista, ma il suo ruolo di Withnail in Shakespeare a colazione lo ha trasformato in una specie di totem e ha senz’altro contribuito a rendere quel film una pietra miliare, almeno nel Regno Unito. Il fatto che Jack ricordi molto Withnail aggiunge una nota geniale in più a un film già eccezionale su un mondo, un ambiente e una città avviate al crepuscolo.

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In L’ingrediente segreto, del macedone Gjorce Stavreski, Vele (Blagoj Veselinov) è un meccanico in un deposito ferroviario che da mesi non prende lo stipendio. Non potendo più pagare per i farmaci di cui ha bisogno il padre, malato di cancro, si affida a placebo fatti in casa finché un giorno, su un treno parcheggiato nel suo deposito, trova una partita di marijuana.

La torta che propina al padre ha effetti miracolosi e in breve si sparge la voce che Vele è una specie di taumaturgo. I problemi sono solo all’inizio. Povertà, desolazione sociale e infrastrutturale, cancro, droga, criminalità. Tutti elementi per un dramma devastante. Ma Stavreski ha trovato il giusto ingrediente (che non è quello segreto, è un altro), per trasformare tutto in un’esilarante commedia.

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