12 dicembre 2013 14:16

Il 12 dicembre 1969 alle 16.37 una bomba scoppia nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo 17 persone e ferendone 88.

Una seconda bomba viene ritrovata nella sede della Banca commerciale italiana, in piazza della Scala, sempre a Milano.

Una terza bomba esplode a Roma alle 16.55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca nazionale del lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo 13 persone.

Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17.20 e le 17.30, una davanti all’altare della patria e l’altra all’ingresso del museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia, ferendo quattro persone.

Nelle ore successive all’attentato vengono fermate circa 80 persone in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico 22 Marzo di Roma, tra i quali Pietro Valpreda, e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano. Tra questi c’è Giuseppe Pinelli che viene fermato il 12 dicembre.

Il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura milanese e muore. Dopo decine di anni, la morte di Pinelli è ancora oggetto di discussione: per gli inquirenti e i magistrati la morte dell’anarchico è stata accidentale e dovuta a un “malore attivo”, per i familiari la verità non sarebbe “ancora emersa”.

Sulla strage di piazza Fontana ci sono stati sette processi contro estremisti del gruppo neofascista Ordine Nuovo; ma o gli imputati sono stati assolti, oppure i reati sono caduti in prescrizione. Alcuni esponenti dei servizi segreti sono stati condannati per depistaggio.

In 44 anni non si è arrivati a una verità giudiziaria definitiva sulla strage, anche se Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato e ottenuto nel 2000 la prescrizione del reato.

Il 3 maggio 2005 la cassazione assolve definitivamente Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti di Ordine Nuovo condannati in primo grado all’ergastolo. Ma nella sentenza viene detto che con le nuove prove – emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 - i neofascisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati in via definitiva.

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