19 gennaio 2017 18:05

The gay essay è uno dei ritratti più forti e autentici della vita dei gay negli Stati Uniti tra gli anni sessanta e settanta. Il suo autore, Anthony Friedkin, comincia a lavorarci a soli diciannove anni, sperando di far conoscere meglio una realtà che fino a quel momento i mezzi d’informazione hanno raccontato scegliendo un punto di vista torbido e pruriginoso.

Nato nel 1949 a Hollywood, figlio di una ballerina e uno sceneggiatore, cresce in una casa frequentata da persone che lavorano nel mondo dello spettacolo, tra cui molte apertamente gay e che considerano quell’ambiente una specie di rifugio. Fuori di lì, sanno di non poter essere se stesse. È il 1969 quando Friedkin comincia il suo progetto: l’anno di Stonewall, le rivolte scoppiate dopo una retata della polizia in un locale gay di New York, lo Stonewall Inn. Ma la violenza e l’ostilità dei poliziotti e dei cittadini contro la comunità gay sono diffuse in tutto il paese.

L’obiettivo del fotografo è andare oltre gli stereotipi e dare la giusta dignità alla rappresentazione dei gay, come individui prima di tutto. Intervistato da Time, racconta: “Ero determinato a creare un insieme di immagini che ridessero onore e rispetto ai gay. Volevo celebrare chi viveva liberamente la propria sessualità, nonostante il pericolo”.

The gay essay ha impiegato molti anni a vedere la luce. Al termine del progetto, nel 1972, Friedkin lo propone a diverse riviste ma tutte rifiutano perché temono di perdere gli inserzionisti. La prima mostra completa arriva solo nel 2014 grazie al museo De Young di San Francisco, seguita da un libro. In questi giorni, le foto sono esposte alla galleria Daniel Cooney fine art di New York, fino al 4 marzo.

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