18 aprile 2017 17:21

L’opera di Ray K. Metzker (1931-2014) ha rappresentato un traguardo essenziale nell’evoluzione della fotografia sperimentale statunitense. Una mostra a Parigi riscopre la vitalità e la ricchezza del suo sguardo.

Lo stile di Metzker si fonda su due momenti distinti: l’osservazione attenta dell’ambiente esterno, la strada soprattutto, e le manipolazioni in camera oscura. Gli studi all’Institute of design di Chicago lo segnano profondamente, in particolare le lezioni con Harry Callahan, grande innovatore nella fotografia statunitense del secondo dopoguerra.

Per Metzker la strada è una fonte inesauribile di ispirazione, è un “formalista che sa anche intrattenere”, come lo definisce William A. Ewing, direttore del Musée de l’Elysée: un artista che costruisce giochi visivi coerenti osservando le linee, gli equilibri, le superfici, le contrapposizioni tra spazi vuoti e pieni, dominando questi elementi con equilibrio. “Prima guardo bene, con attenzione”, racconta il fotografo nel 2008, “e poi uso la macchina fotografica per inquadrare, seguire e mettere a fuoco quello che si muove, il flusso delle persone che appaiono, scompaiono, vibrano”.

Dopo lo scatto, Metzker si dedica intensamente alla sperimentazione in camera oscura. Il negativo è solo un punto di partenza che continua a studiare con la stessa energia con cui si dedica alla strada. In questa fase l’immagine gli riserva sempre un elemento inaspettato, dettagli che decide di evidenziare o eliminare. Quello che conta per lui è la stampa finale. Come scrive ancora Ewing nell’introduzione al volume Light lines, Metzker considera la macchina fotografica come “un aspirapolvere, che risucchia ogni dettaglio nell’inquadratura”. La sua maestria sta anche nel saper controllare tutti gli elementi visivi, filtrando “l’eccessivo traffico dell’ovvio”.

La mostra Ray K. Metzker. Abstractions è organizzata da Les Douches la Galerie di Parigi e rimarrà aperta fino al 27 maggio.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it