Ogni anno, da decenni, gruppi di curdi iraniani trasportano sulle proprie spalle milioni di euro di merce di contrabbando attraverso il confine tra Iran e Iraq. Sono conosciuti come kulbars, facchini di frontiera. Ufficialmente sono contrabbandieri. Nelle zone periferiche del paese, dove il tasso di disoccupazione è più alto rispetto ai centri delle città, lavorare per i contrabbandieri è diventata un’occupazione piuttosto comune. Abitanti dei villaggi più poveri, ma anche molti studenti e perfino laureati, trasportano decine di chili sulle spalle percorrendo pericolosi sentieri di montagna per raggiungere la frontiera. Il carico è molto vario e comprende tutto quello che i boss del contrabbando pensano di poter vendere oltre il confine, soprattutto merci vietate ma popolari in Iran, come l’alcol.
Lavorare come facchino significa accettare il rischio di morire per le rigide temperature, precipitare nei burroni o essere colpiti dai proiettili delle guardie di frontiera per aver oltrepassato il confine illegalmente. Tutto questo per guadagnare l’equivalente di circa dieci euro a viaggio. Per i contrabbandieri affidarsi ai facchini è vantaggioso: evitano le strade di confine controllate, assumendo persone che aggirano i posti di blocco per loro. I loro affari sono cresciuti via via che gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni contro l’Iran.
In viaggio con i corrieri
Nel dicembre del 2019, due fratelli adolescenti hanno perso la strada di casa durante una bufera di neve e sono morti assiderati. La notizia si è diffusa velocemente e ha scatenato molte critiche sui social network iraniani contro l’indifferenza del governo. L’incidente ha spinto il fotografo Abbas Bahrami a documentare questo lavoro massacrante. Nell’inverno del 2020 Bahrami ha accompagnato un gruppo di corrieri di Uraman Takht, nel Kurdistan iraniano. Bahrami è curdo e vive in questa zona di confine. Conosceva personalmente molti dei corrieri: alcuni erano suoi vicini di casa, altri erano stati suoi compagni di scuola.
Il fotografo li ha raggiunti in un punto di ritrovo fuori città, un’ora prima dell’alba. Lì il gruppo ha raccolto pneumatici, pacchi di sigarette, cibo in scatola e si è incamminato verso le montagne. Dopo quasi venti chilometri, in una valle a circa 2.100 metri di altitudine in territorio iracheno, c’era un punto di raccolta. Una fila di camion si nascondeva nelle curve della strada coperta di neve. I facchini hanno caricato nei furgoni i loro pacchi e ne hanno presi altri da portare in Iran: televisori a schermo piatto, robot da cucina e altri elettrodomestici. ◆
Gli attivisti per i diritti dei kulbars denunciano decine di morti ogni anno. Nel settembre del 2020 un deputato iraniano ha dichiarato che nel 2019 sono state uccise o ferite 166 persone. Secondo uno studio del 2018 dell’Ufficio centrale iraniano per la lotta al contrabbando di merce e valuta estera, il valore complessivo dei beni in entrata e in uscita dal paese è stato di 12,9 miliardi di dollari.
Massimo Siragusa è un fotografo italiano. È nato a Catania e vive a Roma da trent’anni. Le foto della serie Roma sono state pubblicate in un libro (Postcart 2020) e sono esposte al Museo di Roma in Trastevere fino al 14 marzo 2021. Il libro e la mostra sono stati curati da Giovanna Calvenzi.
Abbas Bahrami è un fotografo curdo iraniano nato nel 1986. Vive a Uraman Takht, nel Kurdistan iraniano.
Monir Ghaedi è una giornalista iraniana. Lavora per l’emittente tedesca Deutsche Welle.
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Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati