Almeno all’inizio la serie AlRawabi school for girls sembra una commedia per adolescenti come tante. Una ragazzina vestita di rosa raggiunge uno scuolabus. “La scuola era il mio posto preferito”, dice. Poi le sue compagne di classe la aggrediscono. Potrebbe essere una scena di Mean girls, il film statunitense del 2004.

Il contesto tuttavia non è altrettanto familiare. Prodotto in Giordania e diretto da una regista giordana, Tima Shomali, Rawabi non parla solo di studenti che si comportano male le une con le altre, ma anche della società patriarcale che le circonda. Ne sono plasmate e senza volerlo la rafforzano: la serie si conclude al sesto episodio con una sparatoria, quando una vendetta tra adolescenti degenera in un “delitto d’onore”.

Pudore, politica e mercato

Pubblicata ad agosto Rawabi è la serie di Netflix che ha avuto più successo in Giordania. Gli spettatori l’hanno apprezzata perché parlava di argomenti difficili e descriveva le vite delle ragazze, spesso trascurate dalla tv araba. Ha ricevuto anche delle critiche fondate: alcuni hanno osservato che l’ambientazione, una scuola privata d’élite, rappresenta un mondo rarefatto che conoscono in pochi. Molte altre lamentele sono state tuttavia più tendenziose. Il parlamentare Saleh al Armouti ha chiesto al primo ministro perché le autorità avessero dato il permesso di trasmettere una serie che “diffonde decadenza morale ed educativa”.

Dopo un avvio incerto, nel mondo arabo stanno decollando i servizi di stream­ing. Netflix ha circa cinque milioni di abbonati in Medio Oriente. Shahid, gestito dall’azienda saudita Mbc, è cresciuta di venti volte dal suo lancio nel 2020, raggiungendo i due milioni di abbonati. Per espandersi ulteriormente – Netflix punta a raddoppiare gli utenti arabi nei prossimi cinque anni – questi servizi stanno investendo moltissimo su contenuti originali. Alcuni infrangono i tabù del cinema e della tv araba.

Sono spesso le “oscenità” a finire in prima pagina. Prendiamo Jinn, del 2019, prodotta sempre in Giordania, la prima serie originale in arabo su Netflix. Non era un granché. La critica ha stroncato recitazione e sceneggiatura. Ma le discussioni più accese si sono concentrate su una “scena d’amore” piuttosto casta, un bacio veloce tra due giovani. Abbastanza perché il procuratore generale giordano chiedesse al governo di vietarla.

Dibattiti di questo tipo non sono però né nuovi né insoliti. Newton’s cradle, trasmessa la scorsa primavera in Egitto, è stata lodata per come descrive le relazioni e il sesso, e in particolare per una scena in cui ha affrontato il problema dello stupro coniugale. Nonostante le occasionali esplosioni d’ira degli ambienti religiosi, i produttori riescono comunque a trovare dei modi per affrontare questi argomenti.

Jinn (Netflix)

E ci sono ostacoli più problematici del comune senso del pudore. In primo luogo la politica: i governi non vogliono programmi tv che li sfidino. Poi gli imperativi commerciali: le reti televisive tradizionali puntano a modelli consolidati, rivolti a un pubblico di donne di mezza età, e non a spettatori più giovani che altrove sono l’obiettivo principale.

Anche nei servizi di streaming è difficile evitare le restrizioni di carattere politico. Quando è stato chiesto il divieto per Jinn, l’ente di controllo dei mezzi di comunicazione in Giordania ha affermato di non avere giurisdizione su Netflix. Ma altrove è diverso. In Arabia Saudita, nel 2018 Netflix ha ritirato un episodio di Patriota _ indesiderato_ con _ _Hasan Minhaj, un programma di satira statunitense, che criticava il regno per la guerra in Yemen e l’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Secondo il governo violava le leggi sui reati online.

Gli ostacoli commerciali possono essere più facili da superare. Da decenni il pezzo forte della tv in arabo è la serie trasmessa durante il Ramadan: un episodio a sera durante tutto il mese sacro, rivolta alle famiglie. Sono serie costose, la competizione è spietata e il format è vincolante. Ma per molte società di produzione queste serie rappresentano il 15-20 per cento degli introiti annuali.

Con una posta in gioco così alta i produttori vanno sul sicuro con star affermate e una gamma ridotta di generi: saghe storiche, stupide serie d’azione, commedie farsesche. Altri generi sono trascurati. Per esempio la fantascienza, anche se il materiale non manca: uno degli scrittori egiziani più amati del novecento, Ahmed Khaled Tawfik, ha pubblicato una valanga di romanzi horror e di fantascienza, nonostante le obiezioni degli editori che preferiscono i polizieschi.

Fenomeno paranormale

Tenuto conto di tutto questo, nel 2020 il lancio di Paranormal su Netflix è stato ancora più anomalo. La prima serie originale egiziana lanciata dalla piattaforma è un’antologia basata sui romanzi di Tawfik. Il suo protagonista, Refaat Ismail, è un ematologo del Cairo che fuma una sigaretta dopo l’altra, interpretato da Ahmed Amin, noto in precedenza per dei video comici su YouTube. Niente rientra nei canoni tradizionali della tv araba, ma al pubblico è piaciuta molto. Paranormal è stata per dieci settimane in cima alla classifica di Netflix in Egitto e per periodi più brevi nelle classifiche di altri paesi arabi. A novembre è attesa una seconda stagione. Il suo successo dimostra che ci sono altri modi per fare una tv popolare in arabo. Cosa fondamentale, finalmente anche i registi arabi possono raggiungere un pubblico molto più ampio e variegato. Paranormal è profondamente egiziano, e non solo per le sigarette vintage di marca Nefertiti che fuma Ismail. Il quarto episodio parla della leggendaria naddaha, uno spettro femminile che attira gli uomini verso la morte tra le acque del Nilo.

Sono in programma altre idee innovative. A settembre Shahid ha lanciato una serie intitolata Hell’s gate, ambientata in un futuro prossimo, in cui si vede una Beirut distopica controllata da una banda di oligarchi. È stata definita la prima serie tv fantascientifica prodotta dalla piattaforma (tenuto conto degli ultimi sviluppi in Libano, definirla fantascientifica può suonare come una battuta). L’anno scorso Netflix ha lanciato la serie di corti Sei finestre nel deserto e la serie mistery Whispers. Ha firmato diversi accordi con case di produzione saudite per creare film e serie di animazione originali, e questo in un paese in cui i cinema sono stati riaperti nel 2018 dopo un divieto di 35 anni.

Non tutte queste produzioni infrangeranno delle barriere. Alcune regole resisteranno. Ma le piattaforme di streaming contribuiscono a fare per la tv araba quello che la Hbo ha fatto per la tv statunitense vent’anni fa: dare vita a storie che altrimenti non troverebbero spazio. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati