Fu nel cuore di un bar di Montmartre che Blaise Cendrars ed Erik Satie s’incontrarono nella Parigi del 1925. Uno è malconcio a causa della guerra. L’altro indossa un abito di velluto. Il musicista chiede al poeta il libretto di un’opera. I due concludono che lo ha rubato Cocteau. Decidono di andare a schiaffeggiare il furfante. Da Montmartre a Montparnasse, passando per il cimitero del Père-Lachaise, il duo vaga per i bassifondi di Parigi, pesca lo squalo bianco a Dakar, estorce una giraffa da un serraglio per usarla in un ballo in costume e poi si mette a cercare, lungo i lampioni, la traccia di “Biqui”, l’amore perduto di Satie. Era trent’anni prima, il suo nome era Suzanne Valadon. Delfino attinge al gergo lirico dei ruggenti anni venti per descrivere i vagabondaggi notturni di due storpi, lo scrittore senza un braccio e il compositore morente. Utrillo, Chagall, Tou­louse-Lautrec attraversano il romanzo con una gravità nascosta dietro sogni etilici. Il fascino è enorme, ma c’è un abuso di dettagli d’epoca.
Sandra Benedetti, L’Express

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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati