Il principio d’identità afferma che tutto è identico a se stesso: una scala è una scala, una penna è una penna, un libro è un libro. Ma che dire di una persona? Forse no, forse una persona non è altro che la storia con cui ogni persona si racconta. Questa è la tesi che sta alla base di La linea del fronte. È la voce di Sofía Icaza che ci accompagna per la maggior parte delle pagine, una giovane ragazza basca di buona famiglia che si trasferisce nella seconda casa dei suoi genitori, un appartamento a Laredo, in Spagna. Lo scopo di questo isolamento volontario è di lavorare alla tesi: uno studio sulla fine di Mikel Areilza, scrittore ed ex militante dell’Eta esiliato in Argentina. Tuttavia, il confino la porta a seguire un altro tipo di ricerca. Il suo ex fidanzato, Jokin, si trova nella prigione di El Dueso e da quando Sofía lo sa, si scrivono, accelerando l’abbandono della loro grigia vita a Barcellona per avvicinarsi all’epicentro di quell’altra storia. Il motivo per cui Jokin si trova in prigione sarà rivelato più avanti. Il romanzo intervalla capitoli più classici con pagine del diario di Arturo Cozarowski (un drammaturgo argentino che era in stretto contatto con Areilza) e il racconto teatrale delle visite di Sofía a Jokin in prigione. Il risultato è una brillante coreografia narrativa in cui si svela non solo il segreto della storia ma anche il suo significato ultimo. Non è né imprudente né affrettato sostenere che Aixa de la Cruz è probabilmente la migliore narratrice della sua generazione. Lo testimoniano la prosa impeccabile, la capacità d’illuminare gli angoli remoti di una storia, la presenza di idee originali e profonde in quasi ogni paragrafo.
Azahara Alonso, Ambito cultural

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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati