“Puoi farlo risalire all’Africa. Fino alla fonte”. L’ha detto Alloysious Massaquoi, uno dei tre musicisti del trio scozzese Young Fathers per spiegare il filo conduttore del nuovo disco Heavy heavy. Massaquoi è nato in Liberia e si è trasferito in Scozia da bambino. Il suo compagno di gruppo Kayus Bankole invece è nato in Nigeria, cresciuto negli Stati Uniti ed è tornato in Africa poco prima di cominciare i lavori del nuovo album. L’eredità africana traspare più che mai in Heavy heavy, ma come al solito quando si tratta della musica degli Young Fathers tutto è più complicato di quello che sembra. L’altro musicista del trio, G Hastings, ha spiegato: “Quando ascolti flussi di musica provenienti da tutto il mondo, dagli aborigeni australiani che usano i didgeridoo ai bordoni nella musica celtica, capisci che c’è un filo che li attraversa tutti. Un filo che dall’antichità si è trasformato in musica pop e perfino in cose come i Kraftwerk. C’è qualcosa di cui tutti gli umani hanno bisogno”. Oltre che il disco più africano degli Young Fathers, Heavy heavy è anche il loro lavoro più gioioso. Dall’inizio (la radiosa apertura di Rice) alla fine (il finale strozzato di Be your lady) molte delle canzoni sono una festa celestiale, organica ma ultraterrena, che sbanda verso l’euforia. Questo è un disco complesso, che però non si rinchiude nell’avanguardia inavvicinabile. Nonostante la sua densità, non c’è da sorprendersi se Heavy heavy ci farà sentire più leggeri.
Chris Deville, Stereogum
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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati