Sarà un residuo della pandemia, quando in molti hanno sviluppato un rapporto affettivo con numeri e dati a discapito di sovrabbondanti analisi narrative, ma negli ultimi anni il rapporto del Censis sullo stato del paese ha prodotto definizioni sintetiche capaci di aderire alla memoria collettiva. Se il 2021 era l’anno dell’irrazionalità e del pensiero magico, il 2022 è stato l’anno del “paese senza” e della malinconia, di più lost generations sovrapposte tra loro.

Per questo è interessante scorrere il rapporto della Siae e di Italia music export sulla musica italiana all’estero, perché dice molto su quello che è successo negli ultimi anni, più dentro che fuori. Fatta eccezione per recuperi straordinari da parte di etichette straniere interessate alla library music italiana – il merito di questo genere musicale squadernato è anche quello di far venire meno certe ossessioni sulla lingua e la provenienza di un disco, come se tutto fluttuasse in una dimensione parallela –, è innegabile che il successo dei Måneskin o l’esportabilità di Sfera Ebbasta abbiano scrostato un po’ la patina del melodico italiano di Laura Pausini o Tiziano Ferro, che va forte nei paesi ispanofoni o nell’Europa dell’est.

Pur non volendo, l’indagine della Siae conferma un desiderio antico e tradizionale, e cioè che per farcela fuori tocca farcela in America, e se questo vale per Bad Bunny e Rosalía non si capisce perché non dovrebbe valere anche qui. Ma se un rapporto di forza resta uguale, un altro muta: tutte le classifiche di singoli e dischi più venduti in Italia sono a trazione italiana. Più che “paese senza”, il “paese a casa sua”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati