La storia della scienza può essere vista in vari modi, per esempio come un ripetuto tentativo di ridimensionare la presunta eccezionalità degli esseri umani. Dal punto di vista scientifico, infatti, l’Homo sapiens è un primate stranamente glabro presente da appena duecentomila anni, che rispetto ai quattro miliardi e mezzo di storia terrestre sono un battito di ciglia.

Circa vent’anni fa, però, alcuni scienziati hanno cominciato a dire che forse meritiamo davvero una menzione speciale. Nel 2000 Paul Crutzen, meteorologo e chimico olandese, ha affermato che l’influenza umana sul pianeta è così profonda che i suoi effetti saranno visibili per milioni di anni. Secondo Crutzen, era quindi arrivato il momento di proclamare la fine dell’olocene – l’epoca geologica in cui ci troviamo, cominciata 11.700 anni fa – e dare il benvenuto all’antropocene.

La proposta ha suscitato molto interesse. Nel 2016 l’Anthropocene working group (Awg), un’appendice dell’Unione internazionale di scienze geologiche (Iugs), ha votato a favore dell’adozione dell’antropocene, almeno in via di principio. Pochi giorni fa, l’11 luglio, ha indicato una specifica caratteristica geologica, che risale agli anni cinquanta, come inizio dell’epoca. Si tratta dei sedimenti in fondo al lago Crawford, un piccolo bacino a trenta chilometri da Toronto, in Canada.

Picco di anidride carbonica

L’olocene cominciò con un episodio di riscaldamento climatico naturale che causò il ritiro delle calotte glaciali. L’idea alla base dell’antropocene è che l’attività umana abbia alterato il pianeta in maniera altrettanto significativa. Negli ultimi 250 anni abbiamo aumentato del 50 per cento la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, che ha raggiunto il livello più alto da tre milioni di anni. Tra centomila anni, ammesso che l’umanità esista ancora, i geologi osserveranno con chiarezza questo picco, che potrebbe aver rinviato di decine di millenni l’inizio della prossima era glaciale.

Ma ci sono altri indicatori oltre al cambiamento climatico: le microplastiche presenti negli oceani e nei fiumi stanno deponendo strati sedimentari di sostanze chimiche mai osservati in natura; i concimi azotati hanno alterato l’equilibrio degli isotopi nelle torbiere; è in corso un’estinzione di massa. Contemporaneamente, navi e aerei hanno portato buona parte della flora e della fauna superstiti lontano da dove si sono evolute. Quando ciò che vive oggi si unirà ai resti fossili del passato saranno visibili sia l’estinzione sia la redistribuzione.

Secondo le regole della Iugs, le transizioni geologiche non dipendono da un singolo evento, per quanto importante, ma si basano sull’alterazione di uno specifico elemento geologico (l’inizio del periodo ediacarano, 635 milioni di anni fa, è legato al cambiamento di una fascia di rocce esposte in Australia meridionale). L’annuncio dell’Awg ha messo fine a una ricerca dell’indicatore più adatto dell’antropocene che durava da anni. Gli scienziati hanno valutato vari siti, dagli estuari della baia di San Francisco ai sedimenti sotto la piazza principale di Vienna, prima di scegliere il lago Crawford.

Il lago presenta molti vantaggi. Ogni estate, quando l’acqua di superficie si riscalda, scaglie di carbonato di calcio si depositano sul fondale, formando fasce bianche tra i sedimenti simili agli anelli degli alberi. Questi sedimenti, che non sono disturbati dal vento e dalle onde, forniscono una serie di dati in ordine cronologico, dalla concentrazione di anidride carbonica alle particelle di plutonio provenienti da esplosioni nucleari.

L’Awg considera proprio il picco di plutonio – elemento molto raro prima dell’era atomica – come l’indicatore primario dell’inizio dell’antropocene. Non tutti sono d’accordo, perché il plutonio è instabile. Dato che gli isotopi proposti dall’Awg hanno emivite di 6.500 e 24mila anni, la maggior parte del plutonio scomparirà nel giro di duecentomila anni. Le ceneri volanti prodotte dai combustibili fossili che bruciano potrebbero essere una valida alternativa. Se lasciate indisturbate, infatti, a differenza del plutonio, resteranno nelle rocce per milioni di anni. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1521 di Internazionale, a pagina 87. Compra questo numero | Abbonati